Lavoro, maternità e diritti: le tutele previste dalla legge

Congedo di maternità e paternità, riposi giornalieri, disposizioni in caso di affidi o adozioni, e non solo: quali sono le misure previste dalla normativa vigente a tutela della genitorialità e, in particolare, delle lavoratrici madri (autonome, dipendenti e parasubordinate)?

Al fine di tutelare la funzione essenziale svolta dalle lavoratrici madri in ambito familiare e, più in generale, per garantire loro equità di trattamento in tema di pari opportunità in ambito lavorativo, all’art. 37 della Costituzione è sancito che “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.

Tali principi, che sono orientati a favorire la conciliazione dei tempi di famiglia e lavoro, sono dunque ribaditi nel “Testo Unico per la tutela e il sostegno della maternità e della paternità” emanato dal d.lgs. n.151/2001 e nel d.lgs. n.80/2015 che, in attuazione del Jobs Act, ha apportato importanti modifiche alla disciplina dei congedi parentali. I due testi costituiscono quindi il più importante riferimento normativo italiano in materia di tutela della genitorialità.

 

Il congedo di maternità

Per congedo di maternità si intende l'astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice durante la gravidanza e nel periodo immediatamente successivo al parto, durante il quale la stessa percepisce un’indennità economica in sostituzione della retribuzione. Tale diritto e la relativa indennità spettano anche in caso di adozione o affidamento di minori. In determinati casi, che impediscono alla madre di beneficiare del congedo di maternità, il diritto all’astensione dal lavoro ed alla relativa indennità spettano invece al padre: in questi casi, si parla di congedo di paternità.

In particolare, hanno diritto al congedo di maternità le seguenti categorie di lavoratrici subordinate e parasubordinate:

  • le lavoratrici dipendenti assicurate all'INPS anche per la maternità;
     
  • le lavoratrici (operaie, impiegate, dirigenti, apprendiste) aventi un rapporto di lavoro in corso alla data di inizio del congedo;
     
  • le lavoratrici disoccupate o sospese se ricorre una delle condizioni indicate all’art. 24 del Testo Unico, vale a dire: se tra l'inizio della sospensione, dell'assenza o della disoccupazione e l’inizio del periodo di congedo di maternità non siano decorsi più di sessanta giorni; qualora il congedo di maternità abbia inizio trascorsi sessanta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la lavoratrice si trovi, all'inizio del periodo di congedo stesso, disoccupata e in godimento dell'indennità di disoccupazione oppure in cassa integrazione;
     
  • le lavoratrici a domicilio (art. 61 del Testo Unico);
     
  • le lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari (colf e badanti) che abbiano maturato almeno 26 contributi settimanali nell'anno precedente l'inizio del congedo di maternità oppure 52 contributi settimanali nei due anni precedenti l'inizio del congedo stesso (art. 62 del Testo Unico);
     
  • le lavoratrici agricole a tempo indeterminato e le lavoratrici agricole tempo determinato che, nell’anno di inizio del congedo, siano iscritti negli elenchi nominativi annuali dei lavoratori agricoli per almeno 51 giornate di lavoro agricolo (art. 63 del Testo Unico);
     
  • le lavoratrici LSU o APU (attività socialmente utili o di pubblica utilità di cui all’art.65 del Testo Unico);
     
  • le lavoratrici iscritte alla Gestione separata INPS e non pensionate, tenute però a versare il contributo con l'aliquota maggiorata prevista dalla legge per finanziare le prestazioni economiche di maternità; 
     
  • le lavoratrici dipendenti da amministrazioni pubbliche (incluse le lavoratrici dipendenti ex INPDAP ed ENPALS) che sono tenute agli adempimenti previsti dalla legge in caso di maternità verso l'amministrazione pubblica dalla quale dipendono e da cui percepiscono la relativa indennità, corrispondente al trattamento economico, secondo quanto disposto dagli articoli 2 e 57 del Testo Unico.

Così come disciplinato dalla normativa, la sospensione dell’attività lavorativa riguarda i 2 mesi precedenti la data presunta del parto e i 3 mesi successivi, oltre che, in caso di parto avvenuto dopo la data presunta, i giorni compresi tra la data presunta e quella effettiva (salvo flessibilità, vale a dire sottointesa la possibilità di proseguire l’attività lavorativa durante l'ottavo mese di gestazione e di prolungare il periodo di congedo di maternità dopo il parto per un numero di giorni pari a quelli lavorati nel corso dell'ottavo). In ogni caso ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità, il Testo Unico prevede quindi che le lavoratrici abbiano la possibilità di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei 4 mesi successivi al parto. Nel caso in cui la futura mamma opti per questa seconda opzione, l’unica condizione richiesta è che il medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale (o con esso convenzionato) e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non pregiudichi la salute della gestante e del nascituro.

Attenzione! L’articolo 1, comma 485 della legge n. 145/2018 (Legge di bilancio per l’anno 2019) ha riconosciuto alle lavoratrici, a decorrere dall'1 gennaio 2019 e in alternativa alle formule di congedo già illustrate, la facoltà di fruire dei 5 mesi di astensione dal lavoro esclusivamente dopo il parto, a condizione che un medico attesti che ciò non metta a rischio la salute della madre e del nascituro. La circolare n.148/2019 dell'INPS fornisce le istruzioni operative per avvalersi di questa ulteriore opzione.

Nei casi di parto anticipato rispetto alla data presunta (parto prematuro o precoce), ai 3 mesi dopo il parto si aggiungono i giorni non goduti prima del parto, anche nell’ipotesi che la somma dei 3 mesi dopo il parto stesso e dei giorni compresi tra la data effettiva del parto e quella presunta, superi il limite complessivo di 5 mesi. Per ciò che riguarda invece il parto gemellare, la durata del congedo di maternità non varia. Non solo, in caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata, la madre ha il diritto di chiedere la sospensione del congedo di maternità e di fruire dell’astensione, in tutto o in parte, dalla data di dimissione del bambino (prassi, prima delle disposizioni del 2015, consentita solo nei casi di parto prematuro con conseguente ricovero del neonato).

Viene poi riconosciuta l’astensione obbligatoria anche alle lavoratrici dipendenti o iscritte alla Gestione Separata INPS in caso di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza successiva al 180° giorno dall'inizio della gestazione, nonché in caso di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternità. In queste circostanze, tuttavia, è riconosciuta alla lavoratrice la facoltà di rinunciare alla fruizione dell’astensione obbligatoria e riprendere in qualunque momento l'attività lavorativa.

In ultimo, la durata dell’astensione obbligatoria può essere prorogata fino a 7 mesi dopo il parto quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della lavoratrice o quando la stessa sia adibita a lavori pericolosi o faticosi, e non possa essere destinata ad altre mansioni.

 

Come funziona il congedo di maternità in caso di adozioni e affidamenti? 

L'articolo 26 del Testo Unico prevede il congedo di maternità, per un periodo massimo di cinque mesi, anche per le lavoratrici che abbiano adottato un minore. A tal proposito è utile specificare che:

  • in caso di adozione o affidamento preadottivo nazionale di minore, il congedo deve essere fruito durante i primi cinque mesi successivi all’effettivo ingresso del minore nella famiglia della lavoratrice;
     
  • in caso adozione o affidamento preadottivo internazionale, il congedo può essere fruito, anche parzialmente prima dell’ingresso del minore in Italia. Ferma restando la durata complessiva di cinque mesi, il congedo può essere fruito entro i cinque mesi successivi all’ingresso del minore in Italia. i periodi di permanenza all'estero sono indennizzati a titolo di congedo di maternità solo se seguiti da un provvedimento di adozione o affidamento validi in Italia;
     
  • in caso di affidamento non preadottivo di minore, il congedo può essere fruito entro cinque mesi dall’affidamento, per un periodo massimo di tre mesi. Tale congedo, però, non spetta alle lavoratrici e ai lavoratori iscritti alla Gestione separata INPS.

 

Congedo di paternità e Congedo Papà a confronto

Secondo quanto previsto dall'articolo 28 del Testo Unico di riferimento, il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre. Il padre lavoratore dipendente ha inoltre diritto di richiedere il congedo di paternità anche nel caso in cui la madre sia una lavoratrice autonoma con diritto all’indennità di maternità. 

Quest'eventualità non va confusa con quella del "Congedo Papà", resto strutturale dalla Legge di Bilancio per il 2022 che ha di fatto confermato l’incremento a 10 giorni – da fruire obbligatoriamente – già sancito dalla precedente manovra finanziaria (nel 2020 i giorni previsti erano invece 7), che aveva consentito all’Italia di adeguarsi allo standard europeo.  Non solo, come già previsto per il 2021, il padre lavoratore dipendente potrà inoltre astenersi per un ulteriore giorno (congedo facoltativo), previo accordo con la madre e in sua sostituzione, in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest'ultima.Unica condizione è che il congedo – obbligatorio e/o facoltativo - sia goduto, anche in via non continuativa, entro i 5 mesi dalla nascita del figlio (anche in caso di parto prematuro) o dall’ingresso in famiglia nell’eventualità di adozione o affidamento. In entrambi i casi, al padre lavoratore spetta poi un'indennità giornaliera a carico dell'INPS pari al 100% della retribuzione. 

Attenzione! Come chiarito dalla circolare INPS 1/2022 dello scorso 3 gennaio, il congedo obbligatorio è da considerarsi a tutti gli effetti un diritto autonomo del padre, il che significa che può essere fruito indipendentemente da quello spettante alla madre: semplificando, questi giorni si “aggiungono” a quelli dell’altro genitore, senza impattare sul congedo di maternità in alcun modo. Viceversa, il congedo facoltativo è fruibile solo previo accordo della madre e in sua sostituzione, tanto che il giorno aggiuntivo eventualmente fruito dal padre anticipa nel concreto di una giornata la durata del congedo di maternità. 

 

Quanto spetta in caso di congedo di maternità/paternità? 

In questo caso, la risposta alla domanda varia a seconda della tipologia di lavoratore coinvolto. Per quanto riguarda i lavoratori subordinati, durante i periodi di congedo di maternità (o di paternità), la lavoratrice (o il lavoratore) ha diritto a percepire un'indennità economica pari all'80% della retribuzione giornaliera, calcolata sulla base dell'ultimo periodo di paga scaduto immediatamente precedente l’inizio del congedo di maternità.

Per gli iscritti alla Gestione Separata INPS, il diritto all'indennità di maternità/paternità spetta se nei 12 mesi precedenti il mese di inizio del congedo di maternità (o paternità) risultano effettivamente accreditati o dovuti alla gestione separata almeno tre contributi mensili comprensivi dell’aliquota maggiorata. L'indennità di congedo giornaliera è pari all'80% di 1/365 del reddito.

Il diritto all'indennità si prescrive entro un anno e decorre dal giorno successivo alla fine del congedo di maternità (o paternità). Per evitare la perdita del diritto è necessario che la lavoratrice o il lavoratore presentino all'INPS (prima dello scadere dell'anno) istanze scritte di data certa, dirette a ottenere il pagamento della indennità.

 

Come fare domanda per il congedo di maternità o paternità? 

Nel caso sia di lavoratori subordinati sia di iscritti alla Gestione Separata INPS, la domanda di maternità (o paternità) deve essere presentata all’INPS mediante una delle seguenti modalità:

  • via web – servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino attraverso il portale dell’Istituto (www.inps.it - Servizi on line);
     
  • Contact Center integrato (830.164 il numero gratuito da utilizzare da telefono fisso);
     
  • patronati, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

La lavoratrice (o il lavoratore) è inoltre tenuta a comunicare la data di nascita del figlio e le relative generalità entro 30 giorni dal parto mediante una delle modalità telematiche sopra indicate.

La domanda di congedo parentale va invece inoltrata prima dei 2 mesi che precedono la data prevista del parto e comunque mai oltre un anno dalla fine del periodo indennizzabile, pena la prescrizione del diritto all'indennità; deve essere presentata all’INPS mediante una delle seguenti modalità:

  • via web – servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino attraverso il portale dell’Istituto (www.inps.it - Servizi on line);
     
  • Contact Center integrato (830.164 il numero gratuito da utilizzare da telefono fisso);
     
  • patronati, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

Al datore di lavoro il periodo di congedo dovrà essere comunicato secondo i criteri definiti dai CCNL o comunque con un preavviso di almeno 5 giorni. Il lavoratore, inoltre, dovrà consegnare al datore stesso copia della domanda inviata all’INPS, indicando l’inizio e la fine del periodo di assenza. Essendo il congedo frazionabile, tale adempimento dovrà essere ripetuto ogni qualvolta il lavoratore intenda fruire dei periodi di congedo.

 

In cosa consiste il congedo parentale? 

Oltre al periodo di astensione obbligatoria, i genitori hanno diritto ad assentarsi dal luogo di lavoro per un ulteriore periodo (congedo parentale) parzialmente retribuito. In particolare, ai sensi dell'articolo 32 del Testo Unico, per ogni bambino, nei suoi primi 12 anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro per un periodo che non può complessivamente eccedere il limite dei 10 mesi.

Il diritto di astenersi dal lavoro spetta alternativamente:

  • alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
     
  • al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a sette nel caso in cui il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a tre mesi;
     
  • al padre lavoratore dipendente, anche durante il periodo di astensione obbligatoria della madre (a partire dal giorno successivo al parto) e anche se la stessa non lavora;
     
  • qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.

Per ciò che concerne le modalità di godimento, l’astensione facoltativa può essere fruita anche su base oraria, secondo le modalità stabilite dalla contrattazione collettiva o, in mancanza, in base alla disciplina introdotta dal d.lgs. n. 80/2015. In merito invece ai lavoratori dipendenti che siano genitori adottivi o affidatari, il congedo parentale spetta entro i primi 12 anni dall'ingresso del minore nella famiglia, a prescindere dall'età del bambino all'atto dell'adozione o affidamento e non oltre comunque il compimento della sua maggiore età.

In ultimo, in alternativa, è stata introdotta la possibilità di rinunciare al congedo parentale trasformando il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Tale diritto può essere fruito dal lavoratore una sola volta ed è vincolato alla condizione che la riduzione dell’orario di lavoro non ecceda la soglia del 50% rispetto all’orario a tempo pieno.

Attenzione! La legge 81/2017, il cosiddetto Jobs Act degli Autonomi, ha di fatto equiparato i parasubordinati ai dipendenti per quanto riguarda la tutela della maternità. Come evidenziato dalla circolare INPS 109/2018, ne consegue il prolungamento del periodo congedo precedentemente previsto, con possibilità peraltro di usufruire del tetto massimo di 6 mesi previsti fino ai 3 anni di vita del bambino (sempre complessivamente utilizzabili da entrambi i genitori, anche se fruiti presso un'altra gestione previdenziale). 

Non solo, nel caso in cui il congedo venga utilizzato entro il primo anno di vita, non si rende poi più necessario verificare il requisito di almeno 3 mensilità di contribuzione addizionale (la maggiorazione di 0,72% sull’imponibile) nei 12 mesi antecedenti il bimestre che precede il parto. All'atto pratico, una novità davvero importante perché, nei fatti, rende il congedo parentale fruibile anche da molte di quelle lavoratrici che, viceversa, non hanno diritto all'indennità di maternità. Per conseguirlo basta infatti siano accreditate almeno tre mensilità con contribuzione maggiorata nei dodici mesi precedenti l’inizio del periodo indennizzabile richiesto; gli stessi requisiti valgono poi nei confronti delle lavoratrici che chiedono l'indennità di congedo parentale tra il primo e il terzo anno di vita del bambino. 

 

Quanto spetta in caso di congedo parentale? 

Anche in questo caso, la risposta alla domanda varia a seconda della tipologia di lavoratore coinvolto. Per i lavoratori subordinati, l’indennità è pari al 30% della retribuzione media giornaliera, l'indennità è pari al 30% della retribuzione media giornaliera, calcolata in base alla retribuzione del mese precedente l'inizio del periodo di congedo, entro i primi 6 anni di età del bambino. Per i periodi successivi si dispone quanto segue:

  • l'indennità è pari al 30% della retribuzione media giornaliera, dai sei anni e un giorno agli otto anni di età del bambino solo se il reddito individuale del genitore richiedente è inferiore a 2,5 volte l'importo annuo del trattamento minimo di pensione ed entrambi i genitori non ne abbiano fruito nei primi sei anni o per la parte non fruita anche eccedente il periodo massimo complessivo di sei mesi;
     
  • nessuna indennità dagli otto anni e un giorno ai 12 anni di età del bambino.

Per gli iscritti alla Gestione Separata INPS, l’indennità è calcolata, per ciascuna giornata del periodo indennizzabile, in misura pari al 30% di 1/365 del reddito percepito negli stessi dodici mesi presi a riferimento per l’accertamento del requisito contributivo.

 

Cosa sono e come funzionano i riposi giornalieri

Il datore di lavoro deve inoltre consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. Tali periodi hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. I periodi di riposo sono invece di mezz’ora ciascuno nei casi in cui la lavoratrice fruisca dell’asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.

I riposi si raddoppiano solamente nei casi di:

  • adozione o affidamento di 2 o più bambini, anche non fratelli, entrati in famiglia anche in date diverse;
     
  • parto gemellare o plurimo.

Anche il padre lavoratore, secondo quanto previsto all’art. 40 del Testo Unico., ha diritto alla fruizione dei periodi di riposo nei seguenti casi:

  • nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;
     
  • in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga;
     
  • nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente;
     
  • in caso di morte o di grave infermità della madre.

In questo caso, l’indennità è pari all'ammontare dell'intera retribuzione oraria.

La lavoratrice madre che intenda fruire dei riposi giornalieri deve presentare domanda prima dell’inizio del periodo di riposo richiesto al datore di lavoro e deve impegnarsi a comunicare eventuali variazioni successive.

 

Gli autonomi: la tutela della maternità e della paternità

Ai sensi dell'articolo 66 del Testo Unico, è previsto che alle lavoratrici autonome (coltivatrici dirette, mezzadre e colone, artigiane ed esercenti attività commerciali, nonché alle pescatrici autonome della piccola pesca marittima e delle acque interne) sia corrisposta un’indennità giornaliera per il periodo di gravidanza e per quello successivo al parto. Per poter fruire di tale indennità le lavoratrici dovranno essere iscritte alla gestione INPS di riferimento e in regola con il versamento dei contributi anche nei mesi compresi nel periodo di maternità.

In particolare, l'indennità è riconosciuta 2 mesi prima del parto e per i 3 mesi successivi. In caso di adozione o affidamento nazionale di minore spetta per i 5 mesi successivi all'effettivo ingresso in famiglia del minore adottato o in affido preadottivo nonché per il giorno dell'ingresso stesso. Per le adozioni o gli affidamenti preadottivi internazionali, la lavoratrice ha diritto a un'indennità di cinque mesi, mentre in caso di affidamento non preadottivo, l'indennità spetta per un periodo di tre mesi da fruire, anche in maniera frazionata, entro cinque mesi dall'affidamento del minore. A ogni modo, tale indennità non comporta l’obbligo di astensione dall'attività lavorativa autonoma.

Il congedo parentale spetta, analogamente a quanto previsto per le lavoratrici parasubordinate o libere professioniste, per un periodo di 3 mesi entro l'anno di vita del bambino (oppure entro un anno dall'ingresso in famiglia del minore adottato). Questa indennità è pari al 30% del reddito giornaliero, a condizione che la lavoratrice si astenga dal lavoro e sia in regola con i contributi.

Attenzione! A queste lavoratrici non sono riconosciuti i riposi giornalieri per allattamento.

L'indennità di paternità spetta invece al padre lavoratore autonomo, per il periodo in cui sarebbe spettata alla madre lavoratrice autonoma o dipendente, in caso di:

  • morte o di grave infermità della madre;
     
  • abbandono del figlio o mancato riconoscimento del neonato da parte della madre;
     
  • affidamento esclusivo del bambino al padre.

I periodi indennizzabili di paternità, che decorrono dalla data in cui si verifica uno degli eventi sopra elencati, durano quanto il periodo di maternità non fruito dalla madre lavoratrice. Se la madre non è lavoratrice, il periodo indennizzabile di paternità termina dopo 3 mesi dal parto.

Quanto spetta - Secondo quanto disciplinato dagli articoli 22 e 23 del Testo Unico, durante i periodi indennizzabili a titolo di maternità (o paternità), la lavoratrice (o il lavoratore) ha diritto a percepire un'indennità pari all'80% della retribuzione giornaliera stabilita annualmente dalla legge per il tipo di attività svolta. In caso di interruzione di gravidanza oltre il terzo mese, è corrisposta invece un'indennità per un periodo di trenta giorni.

Il diritto all'indennità si prescrive nel termine di un anno dalla fine del teorico periodo indennizzabile di maternità/paternità.

Modalità di richiesta - Per fruire dell’indennità di maternità o paternità è necessaria l’iscrizione alla gestione dell'INPS in base all'attività svolta e la regolarità del versamento dei contributi anche per i mesi compresi nel periodo di maternità. La domanda si presenta:

  • online all'INPS attraverso il servizio dedicato;
     
  • mediante Contact Center integrato (830.164 il numero gratuito da utilizzare da telefono fisso);
     
  • ricorrendo a enti di patronato e intermediari dell'Istituto.

 

Le novità introdotte dal Jobs Act degli autonomi

Con le modalità in seguito ulteriormente chiarite anche dalla circolare INPS 109/2018, il Jobs Act degli autonomi prevede che la gravidanza delle lavoratrici autonome che prestano la loro attività in via continuativa per il committente non comporta l'estinzione del rapporto di lavoro. La lavoratrice madre ha di fatto il diritto di richiedere la sospensione della propria attività, senza ricevere alcun corrispettivo, per un periodo non superiore a 150 giorni per anno solare, fatto salvo il venir meno dell’interesse del committente.

Viene inoltre prevista, previo consenso del committente, la possibilità di sostituzione delle lavoratrici autonome, da parte di altri lavoratori autonomi di fiducia delle lavoratrici stesse, in possesso dei necessari requisiti professionali, nonché dei soci, anche attraverso il riconoscimento di   forme   di   compresenza   della lavoratrice e del suo sostituto.

Per ciò che concerne il congedo parentale, il periodo di fruizione è stato aumentato da tre a sei mesi, utilizzabili entro il terzo anno di vita del figlio. In ogni caso, per le lavoratrici madri, non è necessariamente prevista l’astensione obbligatoria. Viene infatti sancita per legge la possibilità di ricevere l’indennità di maternità pur continuando a prestare la propria attività lavorativa. L’obbligo di astensione effettiva permane soltanto in caso di interdizione durante la gravidanza. Nel caso voglia invece fruire della cosiddetta flessibilità del congedo di maternità, la lavoratrice non è poi più tenuta a fornire all'INPS la certificazione medica (stato di salute della madre e di non pericolo per il nascituro); diventa infatti sufficiente inviare all’Istituto una semplice comunicazione utile  a riferire la scelta della flessibilità e al calcolo del periodo di riferimento nel quale verificare la presenza dei 3 mesi di contribuzione.

 

Le novità della Legge di Bilancio per il 2022 a sostegno del lavoro autonomo 

Ulteriori novità in maternità di lavoro autonomo e tutela della genitorialità sono state introdotte dalla legge 234/2021, vale a dire dalla Legge di Bilancio per il 2022 che al comma 239 del suo primo articolo, prevede che: “alle lavoratrici di cui agli articoli 64, 66 e 70 del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, che abbiano dichiarato nell’anno precedente l’inizio del periodo di maternità, un reddito inferiore a 8.145 euro, incrementato del 100 per cento dell’aumento derivante dalla variazione annuale dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, l’indennità di maternità è riconosciuta per ulteriori tre mesi a decorrere dalla fine del periodo di maternità”.

La manovra finanziaria estende cioè l’indennità di maternità, per un periodo di ulteriori 3 mesi alle lavoratrici autonome, libere professioniste o parasubordinate (o, in alternativa ai padri) in possesso di alcuni specifici requisiti reddituali. Nel dettaglio, l’estensione riguarda le lavoratrici iscritte alla Gestione Separata di cui all’art.2, comma 26 della legge 335/1195, le lavoratrici iscritte alle gestioni autonome INPS e le libere professioniste di cui all’art.40 del D.lgs 151/2011, facenti dunque capo non all’INPS ma alle Casse di Previdenza di competenza, che abbiano dichiarato nell’anno solare precedente all’inizio del periodo di maternità (o di paternità) un reddito inferiore agli 8.145 euro.

La misura viene inoltre concessa solo a condizione che le lavoratici/i lavoratori di interesse abbiano una posizione contributiva regolare: per il riconoscimento dell’indennità sono infatti necessari sia il possesso della qualifica di lavoratrice autonoma, rilevabile dall’iscrizione nella relativa gestione previdenziale, e la regolare copertura contributiva del periodo indennizzabile per maternità. 

Attenzione! Hanno diritto all’ulteriore periodo di indennità di maternità, nel rispetto dei requisiti previsti dalla legge, non solo le madri lavoratrici autonome il cui periodo di maternità sia iniziato a partire dall’1 gennaio 2022, ma anche quelle lavoratrici per le quali il periodo di maternità, pur iniziato prima, si estenda anche oltre questa dataL’indennità non può essere concessa, invece, nei casi in cui il periodo di maternità o di paternità si sia concluso prima dell’1 gennaio 2022.

In ogni caso, l’estensione spetta solo previa domanda, da presentare in via esclusivamente telematica attraverso uno di questi canali: 

  • tramite il portale web, accedendo con SPID, CIE o CNS, utilizzando gli appositi servizi raggiungibili direttamente dalla home page del sito www.inps.it;
     
  • mediante il Contact Center integrato, chiamando il numero verde 803.164 (gratuito da rete fissa) o il numero 06 164.164 (da rete mobile a pagamento, in base alla tariffa applicata dai diversi gestori);
     
  • tramite patronati o altri intermediari autorizzati. 

L'istituto rimanda a messaggi successivi per ulteriori indicazioni sulla procedura telematica. 
 

 

Potrebbe interessarti anche

Donne, denaro e risparmi: spunti per una previdenza al femminile

Spesso le categorie più restie ad aderire a una forma pensionistica complementare sono proprio quelle che avrebbero maggiori necessità di coperture integrative, e le donne non fanno purtroppo eccezione. Dati e spunti di riflessione per sensibilizzare la platea femminile ai possibili vantaggi del risparmio previdenziale