Versamento dei contributi e patto intergenerazionale: costruire la pensione (obbligatoria) in Italia

Come si costruisce la pensione in un sistema a ripartizione come quello italiano? Cosa sono i contributi, quando e perché vige l'obbligo di versarli e cosa fruttano una volta perfezionati i requisiti per la pensione

Premessa indispensabile a farsi è che l’Italia, come molti altri Paesi, adotta il sistema pensionistico "a ripartizione" fondato su un forte patto intergenerazionale: l’equilibrio tra entrate e uscite è cioè garantito dal fatto che, attraverso i loro contributi, gli attuali lavoratori sostengono le prestazioni pensionistiche di quanti sono già andati in pensione; a propria volta, questi cittadini vedranno quindi pagate le proprie pensioni grazie ai giovani lavoratori del futuro, e così via.  

Ogni intervento sul sistema pensionistico deve (o quantomeno dovrebbe) pertanto tenere conto dell’importanza di mantenere questo delicato equilibrio, con una duplice finalità: la coesione sociale e l’ordine delle finanze statali, cui diventa necessario attingere nel caso in cui il saldo tra contributi versati e prestazioni previdenziali da erogare risulti negativo. 

 

L’obbligatorietà del sistema pensionistico italiano 

Ecco dunque perché, nel momento in cui si inizia un'attività lavorativa, da lavoratore dipendente privato o pubblico, autonomo o libero professionista, vige l’obbligo di iscriversi a un ente pensionistico-previdenziale. All’ente a cui si è iscritti si versa, ogni mese o con cadenze diverse, sotto forma di contributi una parte del proprio reddito che viene conteggiato all’interno della posizione personale di ogni singolo lavoratore: l’estratto conto contributivo (simile all’estratto conto bancario), vale a dire all’elenco dei contributi che risultano registrati a favore del lavoratore sin dal momento dell’apertura della propria posizione assicurativa. Alla fine dell’attività lavorativa i contributi vengono convertiti - attraverso un’apposita forma di calcolo - in una pensione, che non è altro se non un assegno versato ogni mese dall’ente pensionistico a favore dell’ex lavoratore, con l’obiettivo di garantirgli una rendita costantemente anche una volta lasciato il mondo del lavoro. Sarebbe tuttavia sbagliato pensare che i contributi versati dal lavoratore siano accantonati o congelati fino al perfezionamento dei requisiti per la pensione: prerogativa del sistema a ripartizione è appunto che i contributi ricevuti in un determinato anno siano utilizzati per erogare i trattamenti pensionistici di quello stesso periodo temporale. I contributi versati dai lavoratori attivi sono cioè usati per pagare le pensioni correnti, da cui l’instaurarsi di un patto tra generazioni diverse e la necessità di introdurre l’obbligatorietà delle assicurazioni previdenziali e sociali. 

Figura 1 – Perché il nostro sistema pensionistico è obbligatorio

Figura 1 – Perché il nostro sistema pensionistico è obbligatorio

Fonte: Guida alla Giornata Nazionale della Previdenza e del Lavoro, Itinerari Previdenziali 

La storia, del resto, insegna: molti Paesi, compresa l’Italia, hanno iniziato con sistemi volontari per rendersi però poi successivamente conto che, a fronte di pochi versamenti, erano molti gli anziani indigenti che necessitavano di prestazioni assistenziali o altre forme di sostegno economico. Così, molti Stati – a cominciare dalla Germania – hanno optato per la strutturazione di sistemi pensionistici obbligatori: quello di assicurarsi una pensione è quindi a tutti gli effetti un dovere del cittadino/lavoratore (che, in questo modo, non dovrà però pentirsi in vecchiaia di non aver pensato prima al proprio futuro). Tanto che, per educare a pensare alla propria vecchiaia e alla propria famiglia, così recitava un vecchio manifesto INPS degli anni Quaranta: “Potresti considerarti soddisfatto se tu dovessi pesare sul bilancio dei tuoi figli o, peggio, se fossi costretto a ricorrere alla beneficenza pubblica o privata?”

 


Sistemi a ripartizione e a capitalizzazione a confronto

Quello a ripartizione non è in realtà l’unico possibile meccanismo attraverso cui è possibile regolare il finanziamento del sistema pensionistico (da non confondersi, a sua volta, con il metodo di calcolo della pensione). Un’altra possibilità, in Italia utilizzata nell’ambito della previdenza complementare, è rappresentata dalla capitalizzazione: in questo caso i contributi versati dai singoli lavoratori (o, meglio, dai singoli aderenti) restano nominali benché nel frattempo affidati e gestiti da fondi a larga capitalizzazione; alla maturazione dei requisiti sono dunque restituiti, rivalutati, a chi li aveva versati. 

Naturalmente, entrambi i sistemi non sono esenti da possibili criticità. Nel caso del sistema a ripartizione, i rischi possono innanzitutto arrivare dall’andamento economico del Paese e, in particolare, da una riduzione del tasso di occupazione (e dei lavoratori attivi) tale da minacciare il soddisfacimento del fabbisogno previdenziale o da renderlo comunque molto gravoso per le finanze statali: lì dove non arrivano i contributi di scopo corrisposti dai lavoratori, occorre infatti attingere dalla fiscalità generale. Una seconda incognita è poi legata all’aspettativa di vita: il progressivo invecchiamento della popolazione può infatti potenzialmente portare a una situazione nella quale il numero dei lavoratori attivi non riesce a fronteggiare il numero sempre più elevato di persone che vanno o dovrebbero andare in pensione. Di qui, la scelta attuata anche dall’Italia di preservare l’equilibrio del sistema attraverso correttivi ed elementi di stabilizzazione – i cosiddetti stabilizzatori automatici - che tengano conto, tra i vari parametri, anche dei trend demografici in corso in un Paese e, in particolare, delle variazioni nell’aspettativa di vita dei suoi abitanti (si pensioni, ad esempio, all’adeguamento dell’età pensionabile e dei coefficienti di trasformazione proprio all’aspettativa di vita). 

 

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