Cos’è il gap previdenziale e cosa fare per colmarlo

Dal 1992 molti sono stati gli interventi legislativi sul sistema pensionistico del nostro Paese. Sette sono solo quelli conosciuti come Riforme. Tutti hanno lasciato sul campo una lunga scia di problemi irrisolti e, nonostante la Riforma Fornero... 

Dal 1992 molti sono stati gli interventi legislativi sul sistema pensionistico del nostro Paese. Sette sono solo quelli conosciuti come Riforme. Tutti hanno lasciato sul campo una lunga scia di problemi irrisolti e, nonostante la Riforma Fornero, il sistema previdenziale italiano resta a tutt’oggi molto lontano dall’aver raggiunto obiettivi di semplificazione e armonizzazione dei trattamenti pensionistici anche se, nel breve volgere di qualche anno, il metodo di calcolo contributivo semplificherà e uniformerà i trattamenti.

Negli ultimi mesi sono state poi introdotte misure rilevanti, parte a correzione/maturazione della stessa Riforma Fornero che vanno a impattare in larga misura sulle prestazioni del primo pilastro previdenziale. Altre, altrettanto, se non più rilevanti, riguardanti la previdenza complementare, quali l’operazione TFR in busta paga e l’innalzamento dell’aliquota di tassazione.

In un quadro così complesso l’Inps ha messo a disposizione, già dallo scorso anno, ai lavoratori che hanno richiesto il pin di accesso il servizio “La Mia Pensione”, attraverso il quale è possibile prendere visione del proprio estratto contributivo previdenziale e, sulla base di questo, simulare la prestazione pensionistica che si avrà al momento del pensionamento. Per tutti gli altri è previsto l’invio della busta arancione a partire dalla seconda metà di aprile.

Va inoltre rilevato che alcune tra le maggiori Casse di previdenza dei liberi professionisti mettono già a disposizione da qualche anno ai propri iscritti calcoli simili alla busta arancione, quali l’Enpacl (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei consulenti del Lavoro) la prima in ordine cronologico e l’Enpam, l’Ente dei Medici.

Per non parlare poi del fatto che i Fondi pensione, negoziali o aperti, sono obbligati dall’Autorità di Vigilanza Covip, a mettere a disposizione dei propri iscritti strumenti di calcolo e simulazioni, basati su ipotesi e criteri definiti dalla stessa Autorità di Vigilanza, per la stima delle prestazioni di secondo e terzo pilastro.

Un quadro in evoluzione quindi verso una maggiore informativa e un pluralismo d’ipotesi e scenari atti a comprendere meglio il proprio futuro pensionistico, situazione sicuramente che va vista come un aspetto molto positivo.

Ma perché è così importante sapere, oggi più che mai, quando si andrà in pensione, ma soprattutto quanto si percepirà di assegno pensionistico?

Il falso mito che la pensione pubblica sarà in grado di coprire l’80% dell’ultima retribuzione, che ha contraddistinto fino a poco tempo fa le pensioni degli italiani come le più ricche della comunità europea, è ormai più che sfatato.

Il sistema di calcolo contributivo, introdotto gradualmente in Italia con la Riforma Dini, poi in seguito pienamente con la Fornero (senza dimenticare gli interventi, più o meno incisivi, svoltisi nel mezzo), fortemente collegato all’effettiva speranza di vita, è il sistema più evoluto nel quadro internazionale, mostrando, finalmente che la pensione non è un artificio contabile ma il risultato dei contributi versati.

Quindi molto dipende dalla storia contributiva di ciascun lavoratore, come del restio accade nella gran parte dei Paesi che hanno adottato nel tempo una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro e una maggiore selettività nelle politiche di sostegno al reddito in caso di inoccupazione. Tutto ciò aggravato dal fenomeno della globalizzazione che determina alti tassi di disoccupazione, discontinuità nelle carriere e, non da ultimo, con la stagnazione della crescita dei redditi.

Risulta pertanto necessario valutare seriamente come intervenire per colmare il proprio gap pensionistico e porre in essere un’attenta pianificazione previdenziale.

Analizziamo ora gli aspetti predominanti da tenere in conto per operare scelte consapevoli ed efficaci in quest’ambito.

Il gap previdenziale, prima definizione importante, non è altro che la differenza tra la prima rata di rendita di pensione e l’ultimo stipendio da lavoratore; maggiore sarà il gap e tanto minore sarà il tenore di vita da pensionati rispetto a quello tenuto durante la fase attiva lavorativa. In altri termini, per un soggetto nato nel 1975, dipendente del settore privato con un reddito netto di 21.000 Euro l’anno (previsione di carriera: 2% oltre l’inflazione alla prima data utile di pensionamento (giugno 2041) avrà una pensione netta di 20.235 Euro l’anno e un gap da colmare di 10.288 Euro.

L’obiettivo ultimo della pianificazione previdenziale non è calcolare il tasso di sostituzione[1] della previdenza pubblica (informazione sicuramente importante), bensì analizzare attentamente il gap, cioè quanto non è coperto dalla pensione pubblica e individuare la soluzione per colmarlo. Fatto cento il reddito, il gap previdenziale non è altro che il complemento al tasso di sostituzione.

Aggiungiamo poi quanto è stato fatto in termini di riduzione del gap e di stimolo alla partenza e avvio della previdenza complementare. Il legislatore, dal lontano 1993 e con particolare attenzione sulla Riforma in vigore dal 2007, ha introdotto come naturale elemento di equilibrio delle prospettive di tutela del tenore di vita dei pensionati il secondo pilastro, quello della previdenza complementare.

Questa forma d’integrazione è costituita dai Fondi Pensione e dai Piani Individuali Pensionistici di natura assicurativa, che, diversamente dal sistema a ripartizione della pensione pubblica, funzionano sulla base dell’effettiva capitalizzazione dei risparmi individuali e degli eventuali accantonamenti TFR, che vengono investiti nei mercati finanziari. La caratteristica peculiare di questo pilastro è l’adesione libera dei soggetti (i contributi di primo pilastro sono obbligatori) e la possibilità per l’interessato di determinare i livelli contributivi e le modalità d’investimento con ampia autonomia.

Il secondo pilastro gode anche di un ottimo trattamento fiscale che concede un’extra performance agli investimenti e prevede maggiore flessibilità nelle forme di conseguimento delle prestazioni (ad esempio il 50% del maturato alla data di pensione può essere riscosso in forma di capitale in un’unica soluzione).

Dal 2000 si è fatto il possibile per spiegare ai lavoratori i vantaggi della previdenza complementare e incentivarne l’adesione, sottolineandone l’importanza soprattutto nella prospettiva che i tassi di sostituzione delle pensioni pubbliche subiranno un forte ridimensionamento.

È quindi ovvio che una corretta pianificazione previdenziale non può esimersi dal considerare questo importante elemento strutturale. Oltre alla previdenza complementare possono essere considerati anche altri strumenti a finalità previdenziale come le polizze vita tradizionali o a carattere finanziario, gli investimenti finanziari a lungo termine, gli investimenti immobiliari, ecc. In questi casi la destinazione deve essere chiara e inequivocabile per non creare l’illusione di un eccesso di risorse che al momento del bisogno potrebbero non esserci effettivamente. Da questo punto di vista la previdenza complementare di secondo pilastro risulta lo strumento più idoneo perché pone dei vincoli ben precisi di età per ottenere i benefici fiscali.

Se facciamo riferimento al soggetto dell’esempio precedente, è possibile stimare che, ipotizzando il versamento dell’intero accantonamento di TFR a un Fondo Pensione, più un contributo soggettivo di 100,00 € mensili, aderendo a una linea prevalentemente obbligazionaria (70%), la pensione lorda annua verrebbe incrementata di 4.890 E. l’anno (4.463 rendita netta da previdenza complementare). Il tasso di sostituzione della previdenza complementare, dato dal rapporto tra la rendita netta e il reddito ante pensione netto stimato pari a 30.524 €, è del 14,6% che, in aggiunta al 66,3% della pensione pubblica, permetterebbe al soggetto di raggiungere un tasso di sostituzione netto complessivo dell’80,9% all’età di 66 anni e 5 mesi (pensione di vecchiaia anticipata) andando in parte a ridurre il gap pensionistico. E’ più che ovvio e scontato che gli effetti finali sul gap previdenziale sono indirettamente proporzionali alla misura della contribuzione versata nel piano di accumulo: tanto più contribuisco, tanto maggiore sarà la rendita e minore il gap da colmare. Va inoltre detto che, grazie alla possibilità di dedurre i contributi versati a forme di previdenza complementare, il soggetto in questione godrebbe, sui 1200 € annui versati come contributo soggettivo, di un risparmio fiscale 343 €. Infatti, uno dei vantaggi che caratterizzano la partecipazione ai fondi pensione è proprio la possibilità di dedurre i contributi versati (soggettivo e datoriale) nel limite massimo di 5.164,57 € l’anno.

Tanti sono i vantaggi del prender parte a piani di previdenza complementare, è chiaro che molto dipende dalle propensioni dei singoli soggetti, dalla capacità di produrre reddito, dagli anni mancanti al pensionamento e dalle proprie aspettative future; non è detto che, ad esempio, un soggetto prossimo al pensionamento debba per forza scegliere un investimento a basso rischio, in quanto ciò potrebbe risultare un costo in termini di opportunità perse. Da ciascuno di questi singoli aspetti non si può quindi prescindere per un’attenta pianificazione previdenziale che permetta di individuare lo strumento più idoneo a raggiungere gli obiettivi desiderati. Considerando anche il fatto che effettuare un’attenta pianificazione previdenziale non significa necessariamente e solo operare con strumenti, seppur idonei, di natura prettamente finanziaria.

Ragionare sulle proprie risorse disponibili, anche frutto di rendite da capitali e/o immobili o partecipazioni societarie, identificare bene quali e quante di queste risorse sono destinabili a questo importante obiettivo è parte integrante di un percorso d’indagine complesso, articolato e vasto che non può prescindere da strumenti informatici di valutazione che aiutino da un lato la messa a fuoco di una visione d’insieme e dall’altro la definizione attenta, precisa e quantitativa degli scenari complessi attesi.

Fare pianificazione previdenziale non è neanche più un dovere ma un obbligo, soprattutto per le nuove generazioni, di tutela del proprio futuro sereno in pensione.

 

[1]Il tasso di sostituzione non è altro che il rapporto tra la prima rata di pensione e l’ultimo reddito da lavoro.