Non solo rendita mensile: cosa si ottiene con la previdenza complementare?

Aderire a una forma pensionistica complementare non significa solo crearsi una "rendita di scorta" di cui disporre in vecchiaia: ecco le prestazioni cui è possibile accedere (e le relative condizioni), già nel corso della vita lavorativa 

Benché sia comunque possibile disporre delle somme accumulate anche prima del pensionamento, l’adesione a una forma pensionistica complementare si pone tipicamente come obiettivo primario quello di accantonare nel tempo risparmi da destinare a una funzione previdenziale. In questo senso, un fondo pensione (o un PIP) è un ottimo esempio di investimento con un’ottica di lungo periodo: si accumulano delle somme che verranno poi “restituite” una volta raggiunta la vecchiaia o, più precisamente, una volta maturati i requisiti per la pensione obbligatoria. 

 

Cosa succede al raggiungimento dei requisiti per la pensione? 

Quella della rendita mensile integrativa da affiancare alla pensione pubblica non è in verità l’unica strada percorribile dagli aderenti alla previdenza integrativa. Una volta maturati i requisiti per la pensione obbligatoria e certificato come requisito fondamentale l’aver maturato almeno 5 anni di partecipazione alla previdenza complementare, l’aderente è infatti chiamato a scegliere tra diverse opzioni: 

- trasformare l’intera posizione individuale in una rendita periodica, vitalizia, differita o persino associata a una copertura LTC in base a quanto previsto da fondo o Compagnia di riferimento), ricevendo di fatto mese dopo mese una pensione complementare, integrativa di quella pubblica; 

- ottenere fino a un massimo del 50% del capitale accumulato in un’unica soluzione e usufruire della restante somma sotto forma di rendita; 

- liquidare l’intera posizione in capitale. Eventualità quest’ultima accessibile solo in alcuni specifici casi definiti dalla legge, vale a dire ai vecchi iscritti (quanti cioè prima del 29 aprile 1993 avessero già aderito a un fondo pensione già istituito al 15 novembre 1992) o in presenza di capitali esigui. 
 

Attenzione!  Il requisito di 5 anni di partecipazione alla previdenza complementare si riduce a 3 anni qualora si cessi l’attività lavorativa (anche in assenza dei requisiti per la pensione obbligatoria) e ci si sposti tra Stati membri dell’Unione Europea.  

Dunque, ricapitolando, una volta maturati i requisiti all’interno della gestione obbligatoria di riferimento, quella di trasformare tutta la propria posizione individuale in una rendita, così da ricevere la pensione complementare per tutta la vita, non è in realtà l'unica eventualità possibile. Altra opzione è infatti quella di farsi liquidare la propria posizione individuale in un’unica soluzione fino a un massimo del 50% del capitale accumulato (mentre il restante 50% sarà comunque convertito in rendita): una possibilità che consente ad esempio di coprire importanti necessità immediate, esattamente come spesso accadeva in passato con la liquidazione del TFR.

Ovviamente, la scelta è estremamente personale e da valutarsi con attenzione, a seconda delle proprie esigenze: normalmente, chi si affida alla previdenza complementare lo fa perché mosso dalla volontà di integrare la pensione obbligatoria e migliorare dunque la propria condizione da pensionato; viceversa, la liquidazione in un'unica soluzione può risolvere contingenze economiche del momento, ma esporre al rischio di difficoltà al protrarsi dell'età anziana. 

 

Come e da chi viene erogata la rendita pensionistica? 

A seconda che il fondo pensione di riferimento soddisfi o meno determinati requisiti fissati dalla legge, la rendita pensionistica complementare sarà erogata o direttamente dal fondo o dall’eventuale impresa assicuratrice con cui è convenzionato.

In entrambi i casi, l’importo è comunque espressione di un preciso calcolo matematico, che è a sua volta funzione dell’applicazione al risparmio previdenziale accumulato dall’iscritto di un apposito coefficiente di trasformazione. Coefficiente di trasformazione dipendente da almeno 3 diversi fattori: la speranza di vita al momento del pensionamento, i costi applicati e il cosiddetto tasso tecnico, vale a dire il tasso di rendimento minimo garantito al momento della determinazione della rendita. 

 

Non solo “pensione di scorta”… 

Sebbene tipicamente associata alla sola eventualità di una pensione integrativa rispetto a quella pubblica, l’adesione a una forma pensionistica complementare consente in realtà l’accesso a diversi tipi di prestazioni già durante la fase di contribuzione e quindi durante la propria attività professionale, vale a dire ancor prima di aver maturato i requisiti per il pensionamento. Secondo le disposizioni normative vigenti, è ad esempio possibile prelevare somme a titolo di anticipazione o di riscatto in relazione a determinate situazioni di difficoltà individuate dalla legge e dal fondo pensione di riferimento (spese sanitarie, acquisto/ristrutturazione prima casa, sostegno al reddito in caso di sospensioni/riduzioni dell’attività lavorativa). Naturalmente, resta inteso in caso di anticipazioni che le somme prelevate – e non reintegrate - vanno a ridurre la posizione individuale e, di conseguenza, il montante di cui si disporrà al momento del pensionamento.

Ulteriori opzioni sono poi quella del trasferimento della propria posizione individuale presso un’altra forma pensionistica complementare e, in presenza di specifici requisiti definiti dalla legge, nella possibilità di fruire della RITA (Rendita Integrativa Temporanea Anticipata), che consiste nell’erogazione frazionata del montante accumulato dell’aderente a una forma pensionistica sotto forma di rendita fino al conseguimento dell’età anagrafica per l’accesso alla pensione di vecchiaia. 

 

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