Il welfare (aziendale) tra storia, presente e scenari futuri: un fenomeno in accelerazione?
Ancor di più dopo COVID-19, che ha migliorato la consapevolezza sulle potenzialità dello strumento, il welfare aziendale in Italia si conferma una realtà consolidata per il Paese: un fenomeno che non può più essere spiegato solo con l'arretramento del pubblico e i recenti provvedimenti legislativi in materia
Welfare state, welfare aziendale, welfare culturale, welfare integrativo: ununica parola, di origine inglese, che ricorre sempre più spesso anche in Italia con sfumature di significato tanto varie da renderne difficile una definizione univoca. Mai come in questo caso viene dunque in aiuto la storia per fare un po di chiarezza. La definizione di ciò che si intende per welfare state o Stato sociale o Stato del benessere è in effetti assai complessa e nel tempo ha assunto diverse connotazioni.
Pur avendo origini più antiche, il termine che, letteralmente, significa benessere, salute, stare bene - nasce in Gran Bretagna per descrivere il forte impegno dei laburisti nel ricostruire lo Stato britannico al termine del secondo conflitto mondiale, con particolare attenzione nei confronti delle fasce di popolazione più povere o, comunque, costrette in condizioni di forte difficoltà. In seguito sopravvissuta allesperienza del governo laburista, lespressione è quindi andata a indicare, in senso lato, il cosiddetto Stato Sociale o Assistenziale, vale a dire quel sistema di norme o altri provvedimenti attraverso cui uno Stato cerca di appianare le disuguaglianze sociali ed economiche generate dal libero mercato, con misure specifiche indirizzate nei confronti dei meno abbienti.
In linea generale, quindi, il welfare può essere inteso come il complesso di politiche sociali, in prima istanza prevalentemente pubbliche, messe in atto per garantire a tutti i cittadini assistenza e benessere, se necessario anche ricorrendo allutilizzo di servizi ritenuti indispensabili a migliorarne le condizioni di vita. Parlare oggi di welfare significa allora parlare di previdenza, lavoro, sanità ammortizzatori sociali e, ancora, di tutti quei servizi che quotidianamente sostengono il benessere quotidiano della persona in ogni fase della sua vita, fornendo protezione in caso di rischio e assistenza in caso di bisogno. La definizione resta in ogni caso dinamica, proprio perché le diverse forme di intervento mutano inevitabilmente nel tempo.
Se il periodo che va dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta può essere considerato letà delloro del welfare state, è però altrettanto innegabile che negli ultimi anni il sistema abbia attraversato e stia attraversando tuttora una fase di crisi: laumentata complessità dei bisogni, linvecchiamento di una popolazione sempre più anziana, i mutati rapporti tra le generazioni e, ancora, crisi economiche, crescita del debito e necessità di porre limiti di spesa alla finanza pubblica hanno reso necessaria una rivoluzione interna a questo modello, rendendo sempre più evidente anche il ruolo cruciale di enti e/o di soggetti privati (tra cui, per quanto non in via esclusiva, imprese e aziende) nella tutela delle fasce più deboli della popolazione e, più in generale, nel garantire il benessere di tutti cittadini.
Welfare aziendale: una crescita inevitabile?
Benché anche, a seguito di alcune recenti novità normative che hanno innalzato il livello di attenzione sul tema, se ne parli come se si trattasse di un fenomeno particolarmente recente e innovativo, la storia del welfare aziendale in Italia ha origine agli inizi dell'Ottocento, a partire dalle iniziative di imprenditori illuminati in risposta ai bisogni sollecitati dallindustrializzazione e dallurbanizzazione. Senza andare troppo indietro nel tempo (già nel Medioevo le corporazioni esercitavano funzioni di assistenza e previdenza verso i propri soci), forme di welfare aziendale compiuto sono dunque riscontrabili già nel XX secolo: una su tutte, il modello Olivetti, che si distinse sin dalla fondazione dellazienda per le numerose assunte a favore dei propri dipendenti. Ed è quindi in questo periodo che, anche nel nostro Paese, va declinandosi il concetto di welfare sostitutivo rispetto a quello pubblico, che d'altra parte non garantiva il livello di copertura attuali.
Con laumentare dei servizi offerti dal welfare pubblico e, di conseguenza, dei contributi richiesti alle imprese per finanziarli, il welfare aziendale si è però per una certa fase della sua storia trasformato diventando un sistema aggiuntivo, troppo spesso relegato a una funzione marginale e intesa unicamente a sfruttare la leva retributiva per fare breccia sui dipendenti di grandi aziende e multinazionali. Le crisi più recenti, non da ultima la crisi da COVID-19, hanno tuttavia in seguito mostrato una progressiva riduzione dello spazio di intervento dello Stato Sociale, sia in termini di risorse che di natura organizzativa, ed è quindi lungo questa via che si è giunti al consolidamento del welfare aziendale così come lo conosciamo oggi: uno strumento di politica economica e sociale, che non può e non deve sostituirsi allintervento pubblico, ma semmai rafforzarlo e affiancarlo, riuscendo a rispondere alle accresciute esigenze dei lavoratori dipendenti, soprattutto a medio e basso reddito, ma non solo.
Complici anche i sempre più numerosi interventi legislativi in materia, si sta dunque indubbiamente diffondendo una nuova sensibilità anche da parte delle imprese, che hanno compreso come fattore chiave del loro successo sia anche la messa in atto di una gestione delle risorse umane oculata e flessibile, nonché di strategie retributive che, in un momento di difficoltà socio-economiche, possano venire incontro alle esigenze dei lavoratori, migliorando il clima interno allazienda stessa e, di conseguenza, la produttività sul medio-lungo termine.
I numeri del welfare aziendale in Italia
Nonostante la crisi - sanitaria prima, e sociale ed economico-finanziaria poi - scaturita a seguito dalla diffusione di SARS-CoV-2 abbia seriamente minacciato tessuto imprenditoriale del Paese, la pandemia di COVID-19 non ha compromesso la diffusione del welfare aziendale in Italia. Lultimo report del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali con dati aggiornati al 15 novembre 2023 ne fornisce una prova: dallentrata in vigore del Decreto Interministeriale del 25 marzo 2016 e dalla disponibilità della relativa procedura per il deposito telematico, sono stati depositati 88.733 contratti aziendali e territoriali; degli 15.992 contratti attivi, 12.782 si propongono di raggiungere obiettivi di produttività, 9.950 di redditività, 7.893 di qualità, 1.601 prevedono un piano di partecipazione e 9.512 misure di welfare aziendale. I lavoratori beneficiari coinvolti sono 4.693.678, di cui 3.290.053 riferiti a contratti aziendali e 1.403.625 a contratti territoriali.
Nonostante persistano delle criticità, come la non sempre adeguata informazione e consapevolezza da parte della platea potenzialmente interessata o, ancora, la marcata disparità nella diffusione su base geografica e settoriale, con i beneficiari concentrati prevalentemente nelle regioni del Nord e nei settori dei servizi e dellindustria, il welfare aziendale non solo si è ben difeso durante lultimo biennio ma, dopo lultima rilevazione mostra persino numeri superiori ai corrispettivi valori pre-pandemici . Rivelandosi anzi, sotto la pressione del nuovo coronavirus, un prezioso sostegno per i lavoratori in difficoltà, concentrando - non a caso - i progetti avviati nel periodo (o opportunamente rimodulati) sui nuovi bisogni socio-sanitari emersi a seguito dello scoppio della crisi sanitaria, come salute, sicurezza sul posto di lavoro, work-life balance e formazione.
Un settore, insomma, ancora ben lontano dallessere maturo, come dimostra ad esempio il coinvolgimento ancora contenuto delle imprese di dimensioni più ridotte, ma che, grazie alle agevolazioni introdotte negli ultimi anni e a una crescente attenzione anche mediatica sul tema, vive oggi una fase di crescita.
Le parole chiave del welfare del futuro: finalizzazione, informazione semplificazione
Tra ampie prospettive di miglioramento e criticità che si insidiano allorizzonte, il futuro del settore dipenderà allora da 3 fattori indissolubilmente intrecciati tra loro: quadro normativo, ruolo della contrattazione collettiva e di secondo livello, soluzioni offerte dal mercato. Un occhio di riguardo andrà quindi rivolto tanto a possibili ulteriori cambiamenti e incentivi (e non solo di natura puramente fiscale) da introdurre nella disciplina vigente quanto dalla sensibilità dei diversi stakeholder coinvolti.
Primo punto da tenere in considerazione è la necessità di semplificare, con particolare attenzione nei confronti delle piccole-medie imprese, le procedure di accesso al welfare aziendale, oggi spesso scoraggiate dalla complessità della burocrazia riguardante i premi di produttività o di risultato In particolare, la scelta di non contemplare tra le fonti istitutive del piano di welfare aziendale il regolamento aziendale nella formula dellaccordo plurisoggettivo - come previsto invece per la previdenza complementare rischia di rappresentare un importante ostacolo alla diffusione dello strumento, solo in parte risolta dalla possibilità di usare i contratti territoriali, non sempre disponibili o allineabili alle esigenze di produttività e di risultato delle singole imprese.
Un secondo elemento da non sottovalutare è poi quello della finalizzazione del welfare aziendale: per favorirne ulteriormente lo sviluppo come sostegno complementare e integrativo del welfare pubblico, occorrono cioè secondo gli esperti ulteriori stimoli economici e legislativi, da concedere però solo a fronte di paletti che impediscano ai pur importanti servizi a favore di tempo libero e benessere di prendere il sopravvento su prestazioni di natura sociale, familiare o di sostegno più o meno diretto alla professione stessa. Il tutto senza infine trascurare un ultimo ingrediente fondamentale, linformazione, essenziale per stimolare un approccio più proattivo e consapevole dei cittadini ai temi del welfare, pubblico e integrato.