Pensioni di anzianità, di vecchiaia e anticipata: che differenza c'è?

Di anzianità, di vecchiaia oppure anticipata: come andare in pensione nel 2022? Normativa vigente alla mano, facciamo chiarezza sui requisiti anagrafici e contributivi utili a uscire dal mercato del lavoro

Tendenzialmente, quando si parla in modo generico di pensione si fa riferimento alla cosiddetta pensione di vecchiaia, trattamento pensionistico che viene erogato al raggiungimento di un’età anagrafica fissata per legge, in presenza di una contribuzione normalmente non inferiore a 20 anni.

 

La pensione di vecchiaia

Peculiarità della pensione di vecchiaia è quindi un requisito contributivo non eccessivamente severo – 20 anni per l’appunto – a fronte di un requisito anagrafico ben più stringente: la cosiddetta età pensionabile per il 2022 è fissata a 67 anni (stabile quindi rispetto all’ultimo triennio) per tutte le categorie di lavoratori, vale a dire uomini e donne, dipendenti e autonomi. 

Come già visto, infatti, affinché il soddisfacimento del fabbisogno previdenziale possa essere mantenuto nel tempo, il sistema prevede alcuni elementi di stabilizzazione, introdotti anche per permettergli di reggere alle trasformazioni demografiche in atto e, in particolare, al progressivo invecchiamento della popolazione: a tal fine, l’età pensionabile è quindi soggetta a degli adeguamenti periodici, in funzione della cosiddetta “speranza di vita”. Se la speranza di vita aumenta, aumenta cioè anche la soglia anagrafica da raggiungere per poter accedere alla pensione di vecchiaia. In particolare, a partire dal 2019 l’adeguamento avviene con frequenza biennale (in precedenza era invece triennale): questo vuol dire che il primo adeguamento dei requisiti con la nuova modalità sarebbe stato previsto per il biennio 2021-2022. Con il decreto del 5 novembre 2019, il MEF ha tuttavia stabilito, sulla base delle rilevazioni Istat sulla speranza di vita media, che il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia resterà fermo a 67 anni anche per il biennio 2021-2022. Con il successivo decreto datato 27 ottobre 2021, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha inoltre già anticipato che, anche per il 2023, non è previsto alcun incremento dell’età pensionabile, ancora ferma dunque a 67 anni. 

Per quanto riguarda i contributi considerati, occorre precisare che, ai fini del raggiungimento dei 20 anni, vale la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’assicurato: si considerano cioè egualmente “validi” contributi da lavoro, da riscatto, figurativi e versamenti volontari.

Attenzione! Il doppio requisito 67 anni d’età e 20 anni di contribuzione è valido in linea di massima, ma sono ovviamente previste alcune eccezioni, tanto che si può dire che, nel complesso, l’età di accesso alla pensione di vecchiaia varia per il 2022 dai 66 ai 71 anni. In particolare:

  • Per i lavoratori che non soddisfano il requisito contributivo ventennale, è possibile ottenere la pensione di vecchiaia – spesso definita anche “pensione di vecchiaia contributiva” - a 71 anni (requisito a propria volta soggetto ad adeguamento demografico) a fronte del versamento di 5 anni di contributi, nei quali non sono però compresi in questo caso di contributi figurativi
     
  • Per i cosiddetti “contributivi puri”, vale a dire per quei lavoratori il cui primo versamento contributivo sia successivo alla riforma Dini e quindi decorra dall’1 gennaio 1996, il doppio requisito anagrafico e contributivo non è in realtà sufficiente, ma ne è previsto un terzo, vale a dire aver maturato una pensione di importo superiore a 1,5 volte l’assegno sociale (468,10 euro x 1,5 = 702,15 euro per il 2022). Laddove il requisito non sia soddisfatto, non è quindi possibile ottenere la pensione: è possibile prescindere da tale requisito solo al raggiungimento dei 71 anni di età (“pensione di vecchiaia contributiva”), quando sarà cioè possibile ottenere l’accesso al proprio assegno pensionistico a prescindere dall’importo maturato
     
  • Per quanti avevano maturato al 31 dicembre 1992 almeno 15 anni di anzianità contributiva, possono bastare appunto anche solo 15 anni di contribuzione, a condizione che venga comunque soddisfatto il requisito anagrafico. A questo proposito occorre infatti precisare che la cosiddetta riforma Monti-Fornero ha di fatto “parificato” il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia tra i cosiddetti “contributivi puri” e quanti invece al gennaio 1996 avevano già una posizione assicurativa avviata, ma per quanto riguarda invece quello contributivo la circolare INPS 16/2013 dispone invece delle possibili deroghe
     
  • Per i lavoratori che svolgono le “mansioni gravose” individuate come tali per legge, viene congelato anche per l’anno in corso l’adeguamento alla speranza di vita: questi lavoratori potranno cioè anche quest’anno accedere alla pensione di vecchiaia con 66 anni e 7 mesi di età (a condizione però di essere in possesso di almeno 30 anni di contributi e di aver maturato una pensione di importo non inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale)
     
  • Per chi accede alla pensione di vecchiaia tramite totalizzazione, vale a dire “totalizzando” i contributi versati nel corso della propria vita lavorativa i contributi versati a più gestioni (Casse di Previdenza dei liberi professionisti comprese), il requisito anagrafico “scende” a 66 anni di età. Va però ricordato, che tra il diritto alla pensione e l’erogazione del primo assegno intercorrere comunque una finestra di ben 18 mesi.


In linea di massima, la pensione di vecchiaia decorre dal primo giorno del mese successivo a quello in cui è stata raggiunta l’età pensionabile oppure, nel caso dei “contributivi puri” che non soddisfino al raggiungimento della soglia anagrafica anche il requisito relativo all’importo dell’assegno, dal mese successivo al soddisfacimento di tale requisito.

 

La pensione di anzianità

La pensione di anzianità così come intesa in passato (35 anni di contributi e requisito anagrafico in ultimo pari a 62 anni o 40 anni di contributi) non esiste più: pensata in origine per permettere al lavoratore che avesse raggiunto una determinata anzianità contributiva di andare in pensione a prescindere dall’età, è stata infatti dapprima modificata nel 2004 mediante l’introduzione di requisiti aggiuntivi rispetto a quello contributivo e quindi del tutto “pensionata” dalla riforma Monti-Fornero che l’ha nella pratica sostituita con la pensione anticipata, che consente comunque al lavoratore di andare in pensione prima della soglia anagrafica prevista dalla pensione di vecchiaia a fronte di un certo numero di contributi.

Mediante appositi provvedimenti legislativi sono stati comunque “salvaguardati” alcuni assicurati che, ritenuti nella posizione di dover comunque essere tutelati dal sistema previdenziale, hanno potuto in via eccezionale conservare l’accesso alla pensione con le regole ante Fornero.

 

La pensione anticipata

Introdotta dalla riforma Monti-Fornero, si può – semplificando – definire come quella prestazione previdenziale cui è possibile accedere non raggiungendo una certa età, bensì perfezionando un requisito di natura contributiva. Questo significa che diventa appunto possibile andare in pensione prima dei 67 anni richiesti dalla pensione di vecchiaia (da qui, il nome di “anticipata”), a condizione di aver accumulato un certo numero di contributi.

In particolare, dall’1 gennaio 2019, e così anche per il 2022, spetta:

  • ai lavoratori uomini (dipendenti o autonomi) con almeno 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva, a prescindere dall’età anagrafica;
     
  • alle lavoratrici donne, con almeno 41 anni e 10 mesi di anzianità contributiva, a prescindere dall’età anagrafica.
     

A differenza di quanto non accada con la pensione di vecchiaia, persiste dunque in questo caso una differenza nei requisiti tra i due sessi.

Attenzione! Così come originariamente previsto dalla riforma Monti-Fornero, anche il requisito contributivo necessario a ottenere la pensiona anticipata avrebbe dovuto essere periodicamente adeguato all’aspettativa di vita. A seguito dalle novità nel sistema pensionistico introdotte dalla Legge di Bilancio per il 2019 e dalle successive disposizioni attuative, gli adeguamenti sono infatti stati sospesi fino al 31 dicembre 2026 quando, salvo nuovi interventi normativi, il requisito contributivo potrebbe invece tornare a crescere. 

Un beneficio cui fa da parziale contraltare, almeno per quanto riguarda l’effettiva ricezione dell’assegno pensionistico, la (re)introduzione del cosiddetto meccanismo delle finestre mobili. Se fino allo scorso dicembre la pensione anticipata aveva decorso dal mese successivo al perfezionamento del requisito contributivo richiesto, a partire dal 2019 è stata infatti reintrodotta una finestra trimestrale, il che vuole dire che si viene a creare un gap di 3 mesi tra il momento in cui è possibile inoltrare la domanda per la pensione e quello in cui l’assegno è effettivamente erogato. Nel frattempo, comunque, il lavoratore potrà continuare a esercitare la propria attività e continuare a contribuire fino all’esaurimento della finestra così da accedere direttamente alla pensione una volta cessato il rapporto di lavoro dipendente (requisito quest’ultimo necessario per l’accesso alla pensione stessa).

Anche in questo caso sono poi previste delle “agevolazioni” per categorie particolari di lavoratori: è il caso dei lavoratori precoci, vale a dire quanti possono vantare almeno 12 mesi di contribuzione per periodi di lavoro effettivo (compresi quelli riscattati per omissioni contributive) prima del compimento del 19esimo anno di età, per i quali il diritto alla pensione anticipata matura con 41 anni di contributi, nel caso in cui:

  • siano in stato di disoccupazione involontaria (a seguito di licenziamento) e abbiano concluso da almeno 3 mesi l’eventuale indennità di disoccupazione;
     
  • assistano da almeno 6 mesi in qualità di caregiver il coniuge o un parente di primo grado con handicap e in condizioni di gravità (oppure parente o affine di secondo grado convivente se i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità hanno compiuto 70 anni o sono anch'essi affetti da patologie invalidanti);
     
  • presentino un’accertata riduzione della capacità lavorativa superiore o uguale al 74%;
     
  • abbiano svolto attività usuranti (così come individuate dalla legge) per un periodo di tempo pari ad almeno 6 degli ultimi 7 anni di attività lavorativa, 7 degli ultimi 10, oppure la metà della vita lavorativa complessiva.

Attenzione! Anche addetti ai lavoratori usuranti e al lavoro notturno – da non confondersi però con quanti impegnati in mansioni gravose – possono contare su agevolazioni nell’accesso alla pensione, beneficiando di una particolare normativa. Nel dettaglio, al soddisfacimento di un requisito anagrafico e contributivo minimo, quanti abbiano svolto l’attività riconosciuta come “particolarmente faticosa e pesante”, possono andare in pensione con requisiti più vantaggiosi rispetto a quelli previsti da pensioni anticipata e di vecchiaia: a condizione però che soddisfino una determinata “quota”, stabilita dalla legge e di fatto data dalla somma di età anagrafica e anzianità contributiva. Per le quote di riferimento, si rimanda alla scheda dedicata.

 

La pensione anticipata contributiva

Un’ulteriore particolarità riguarda poi ancora una volta i “contributivi puri”, per i quali è possibile un’ulteriore opzione, rappresentata dalla pensione anticipata contributiva. Oltre a poter ottenere la pensione al perfezionamento dell’anzianità contributiva dei 42 anni (41 per le donne) e 10 mesi richiesti, i lavoratori che hanno aperto la propria posizione contributiva dopo il 31 dicembre 1995 hanno la possibilità di ottenere il trattamento anticipato al compimento dei 64 anni di età, requisito quest’ultimo sempre soggetto ad adeguamento alla speranza di vita.

Premesso che il trattamento decorre in questo caso senza che sia prevista alcuna finestra, due le ulteriori condizioni che è tuttavia necessario soddisfare:

  • almeno 20 anni di contributi effettivi accreditati (ai fini del computo si considerano cioè come validi i soli contributi obbligatori, volontari o da riscatto, mentre vengono ad esempio “scartati” i contributi accreditati figurativamente per disoccupazione, malattia e/o prestazioni equivalenti);
     
  • aver maturato un assegno pensionistico di importo mensile pari o superiore a 2,8 volte quello dell’assegno sociale (468,10 euro x 2,8 = 1.310,68 euro per il 2022).

 

Quali ulteriori scivoli o possibilità per anticipare la pensione?

Una serie di opzioni ulteriori consentono poi di anticipare la pensione rispetto all’età pensionabile a oggi prevista con modalità e requisiti diversi rispetto a quelli previsti per la pensione anticipata. Rimandando alle schede dedicate per ulteriori approfondimenti, si riportano di seguito (e in tabella) le principali:

Quota 100 e Quota 102: opzione sperimentale introdotta dal decreto legge 4/2019, Quota 100 ha consentito il pensionamento anticipato ai lavoratori con 62 anni di età e dei 38 di contribuzione, a condizione di aver maturato il doppio requisito entro il 31 dicembre 2021. Non rinnovata dopo il triennio di sperimentazione condotto tra 2019 e il 2021, è sostituita nel 2022 da Quota 102 che, di fatto, innalza a 64 anni il requisito anagrafico richiesto. 

Opzione donna: recentemente prorogata dalla Legge di Bilancio per il 2022, si tratta di un’opzione indirizzata, come suggerisce il nome stesso, alle sole donne, cui è concesso di accedere alla pensione con almeno 35 anni di contribuzione e 58 anni di età se dipendenti (59 se autonome) in alternativa alle altre forme di pensionamento, laddove i requisiti siano stati maturati entro il 31 dicembre 2021. Viene tuttavia prevista una finestra tra la maturazione dei requisiti e l’effettiva ricezione del proprio assegno pensionistico. Il tempo di attesa è pari a 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e 18 mesi per le autonome.

Attenzione! L’importo della pensione ottenuta con opzione donna viene interamente calcolato con il metodo contributivo, a prescindere da quando sono stati effettivamente versati i contributi (sistema misto o ex retributivo): nella maggior parte dei casi, ciò si traduce di fatto in una penalizzazione nell’importo dell’assegno pensionistico.

APE sociale: estesa dall'ultima manovra finanziaria a tutto il 2022, l’APE sociale permette a particolari categorie di lavoratori individuate dalla legge di ottenere, una volta raggiunti i 63 anni di età e i 30 anni di contributi (32 oppure 36 per gli addetti alle mansioni gravose; previsto invece uno sconto fino a 2 anni per le lavoratrici madri), una sorta di assegno ponte fino alla maturazione dei requisiti necessari alla pensione di vecchiaia. Nel concreto, l’APE sociale si traduce quindi in una sorta di sussidio di accompagnamento alla pensioneconditio sine qua non è ovviamente la non titolarità di alcuna pensione diretta – erogato dallo Stato a soggetti che si trovano in condizioni di particolare bisogno (disoccupati, caregiver, invalidi civili e addetti a mansioni gravose) così come individuati dalla legge.

Contratto di espansione: volto a incentivare il ricambio intergenerazionale all’interno delle aziende con almeno 50 dipendenti (limite ridotto da 100 a 50 con la Legge di Bilancio per il 2022), si tratta di uno strumento che consente il pensionamento anticipato fino a un massimo di 5 anni dal raggiungimento della pensione, a fronte di un’indennità versata dall’impresa per il tramite dell’INPS. In alternativa, può essere prevista la programmazione di riduzioni orario o sospensione del personale dipendente, cui viene riconosciuto un trattamento di cassa integrazione straordinaria per un periodo massimo complessivo di 18 mesi, anche non continuativi tra loro. 

Isopensione: scivolo pensionistico interamente pagato dall’azienda ai dipendenti del settore privato in attesa della maturazione dei requisiti necessari per la pensione, in presenza di uno specifico accordo e a condizione che l’azienda impieghi mediamente più di 15 dipendenti e si impegni a versare un assegno di importo equivalente alla pensione (garantendo al contempo la relativa copertura contributiva).

Il meccanismo consente un anticipo fino a un massimo di 7 anni rispetto alla normativa vigente, che si ricorda per il 2022 prevedere:

  • 42 anni e 10 mesi di contribuzione per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne, nel caso della pensione anticipata;
     
  • oppure 67 anni d'età e 20 di contributi, nel caso della pensione di vecchiaia. 


Le principali opzioni di pensionamento per il 2022

Le principali opzioni di pensionamento per il 2022

*I cosiddetti "contributivi puri" sono i lavoratori che hanno iniziato a lavoratore a partire dall'1.1.1996
**I lavoratori precoci sono coloro i quali posson far valere almeno 12 mesi di contributi effettivi prima del compimento del 19esimo anno d'età
***Per approfondimenti si veda la scheda dedicata    

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Chi raggiunge i requisiti è obbligato ad andare in pensione?

Il raggiungimento dei requisiti necessari a ottenere la pensione non implica di per sé che il lavoratore debba necessariamente pensionarsi. Con particolare riferimento alla pensione di vecchiaia, si può cioè dire che non si è obbligati ad andare in pensione al raggiungimento dei 67 anni di età: al contrario, la normativa vigente concede di proseguire anche oltre la propria carriera professionale (eventualità quest'ultima ovviamente da non confondere con la possibilità di riprendere a lavorare dopo la pensione e di cumulare quindi l'assegno pensionistico con i redditi da lavoro, entro i limiti fissati dalla legge) fino al raggiungimento di un requisito anagrafico in corrispondenza del quale scatta invece il cosiddetto pensionamento forzato. In linea di massima, per i lavoratori del settore privato, tale soglia è pari ai 71 anni. Resta inteso l’accordo del datore di lavoro che, al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia, può comunque imporre al proprio dipendente il licenziamento per sopraggiunti limiti di età.

Diverse invece le regole nel settore pubblico, dove si tende generalmente a favorire il pensionamento: in questo caso, al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia scatta quindi pressoché automaticamente la cessazione del servizio. Oltre tale data, il rapporto non può protrarsi se non, in via eccezionale, nel caso in cui il lavoratore non abbia ancora perfezionato il requisito contributivo richiesto (20 anni di contributi versati). Va d’altra parte precisato che spesso per le pubbliche amministrazioni scatta ancor prima il cosiddetto pensionamento d’ufficio, inteso appunto come l’obbligo o la facoltà a seconda delle amministrazioni di mandare in pensione il personale in servizio al raggiungimento di determinati requisiti anagrafici e/o contributivi. Al momento, l’obbligo scatta generalmente a 65 anni laddove, a tale età, il personale abbia maturato un qualsiasi diritto alla pensione (Quota 100 comunque esclusa); diversamente, il rapporto di lavoro prosegue fino al soddisfacimento dei requisiti necessari per la pensione di vecchiaia.