Perequazione automatica, come si rivaluta la pensione (nel 2023)

Come cambia l'importo delle pensioni nel tempo e in quale modo vengono stabiliti gli adeguamenti annuali all'inflazione? Facciamo chiarezza su perequazione e indicizzazione dei trattamenti pensionistici

A differenza dei redditi da lavoro, soggetti o alla contrattazione tra le parti nel caso di  rapporto di subordinazione o alle leggi di mercato nell’eventualità di rapporto di lavoro autonomi, il reddito della pensione è stabilito in base a una precisa formula di calcolo (contributivo, misto o retributivo, a seconda del momento di ingresso nel mercato del lavoro) che, in linea teorica, lo definisce una volta per tutte. 

Come garantire ai percettori di rendita importi adeguati alle eventuali variazioni (al rialzo) di inflazione e costo della vita? Proprio allo scopo di proteggere il potere d’acquisto del trattamento pensionistico e assicurare ai pensionati un tenore di vita adeguato e costante nel tempo, è stato introdotto il meccanismo della cosiddetta “perequazione automatica”, aumento periodico dell’assegno pensionistico collegato all’inflazionePiù precisamente, quindi, l’espressione “perequazione automatica” indica il meccanismo di rivalutazione dell’importo di pensioni, rendite o eventuali trattamenti assistenziali erogati dalla previdenza pubblica sulla base dei parametri di riferimento periodicamente individuati dall’Istat.


Come funziona la perequazione? 

È l’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati a stabilire il valore di riferimento per la stima dell’aumento da applicare, calcolato dapprima in forma di indice provvisorio e, a seguire, in via definitiva come indice da conguagliare a inizio anno.  Al termine di ogni anno, è dunque emanato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze un decreto che fissa “in via previsionale” la variazione percentuale che dovrà essere applicata ai trattamenti pensionistici mensili dell’anno successivo. Proprio perché provvisorio, tale valore sarà poi sostituito – al termine dell’anno stesso - da un indice di variazione definitiva, sulla base del quale sarà effettuato un conguaglio che appiani eventuali divergenze tra la stima iniziale e il valore poi effettivamente riscontrato. Il conguaglio potrà pertanto essere:

- positivo: nel caso in cui la variazione definitiva si sia rivelata superiore a quella previsionale, la differenza sarà corrisposta al percettore di rendita “in aggiunta alla pensione”; 

- negativo: se la variazione definitiva si dovesse rivelare inferiore a quella previsionale, l’importo è “sottratto alla pensione”; 

- “nullo”: nel caso in cui la variazione definitiva si riveli identica a quella previsionale, nessun conguaglio sarà applicato all’assegno pensionistico. 

Si spiega quindi facilmente l’attenzione dei media e dei pensionati per l’importo della pensione del mese di gennaio in cui convergono, normalmente e salvo eccezioni, sia l’eventuale conguaglio relativo all’anno precedente sia eventuali (se dovuti) aumenti rispetto all’indice previsionale stimato per l’anno in corso.

Attenzione! Per l’anno 2022, l’aumento di perequazione automatica – già attribuito in via provvisoria nella misura dell’1,7% - è stato stabilito in via definitiva nella misura dell’1,9%: a fronte della forte spinta inflattiva degli ultimi mesi, a fronte di contrastare il potere d’acquisto delle prestazioni pensionistiche,  il Decreto Aiuti bis ha stabilito in via eccezionale un anticipo del conguaglio (pari allo 0,2%) già per il mese di novembre 2022 o, in alcuni casi residuali, per il rateo di dicembre. 

Con apposito decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’indice provvisorio riferito al 2023 è invece stato fissato al 7,3%, salvo conguaglio da effettuarsi poi in sede di perequazione per l’anno successivo. 


Come si applicano gli indici? 

Semplificando, questo significa che le pensioni dirette e ai superstiti (indipendentemente dal fatto che siano integrate o meno al minimo) erogate dalla previdenza pubblica saranno più “generose” nel 2023: non tutte però nella stessa misura. 

Premessa fondamentale è che l’indicizzazione non si applica allo stesso modo a tutti i trattamenti pensionistici. In linea generale, si può comunque affermare che da circa 20 anni è in vigore un meccanismo che prevede lindicizzazione piena per le pensioni più basse e la rivalutazione parziale per quelle d’importo superiore. D’altro canto, occorre anche sottolineare che sulle indicizzazioni si sono susseguiti nel tempo molteplici interventi, spesso anche in contraddizione tra loro, seppur accomunati dall’intenzione di produrre eventuali risparmi di sistema. Se, dunque, in alcuni periodi le pensioni non hanno ricevuto alcuna perequazione, in altri i trattamenti pensionistici hanno subito differenti indicizzazioni che si sono tramutate nei fatti in una riduzione strutturale, e non più recuperabile, nel valore delle prestazioni. Ragioni per le quali, Suprema Corte e Cassazione si sono speso espresse negativamente su tali provvedimenti.

In particolare, volendo fare un piccolo excursus storico,  il 31 dicembre 2021 ha segnato la fine della disciplina transitoria introdotta dalla legge 147/2013, e più volte rinnovata, che ha previsto per le pensioni una rivalutazione del 100% se di importo inferiore fino a 4 volte il trattamento minimo INPS del 77% tra 4 e 5 volte il minimo, del 52% tra 5 e 6 volte il minimo, del 47% tra 6 e 8 volte il minimo, del 45% tra 8 e 9 volte il minimo e del 40% se di importo superiore a 9 volte il minimo. Con il 2022 si è invece tornati alla disciplina introdotta dalla legge 388/200, che prevede un adeguamento a misura piena, cioè al 100% dell’inflazione, per la quota di pensione fino a 4 volte il TM, al 90% per la quota compresa tra 4 e 5 volte il TM e al 75% per la quota superiore a 5 volte il minimo. Con un’ulteriore differenza rispetto al recente passato, e in particolare al triennio 2019-2021: come previsto dalla normativa di riferimento, non è cambiata solo la percentuale di variazione ma anche il meccanismo di calcolo, applicato sui diversi scaglioni del trattamento pensionistico (e non più sull’importo complessivo), nella sostanza più vantaggioso per i pensionati in termini di valore dell’assegno.


Adeguamento all'inflazione, così nel 2023

Il meccanismo così descritto avrebbe dovuto originariamente restare in vigore anche per l’anno in corso. La Legge di Bilancio varata dall’esecutivo di Giorgia Meloni ha però stabilito un nuovo meccanismo di perequazione per il biennio 2023-2024: schema di rivalutazione che, in estrema sintesi, premia le pensioni al minimo, preserva la rivalutazione piena (al 100%) per gli assegni di importo fino 4 volte il TM e riduce invece progressivamente l’indicizzazione di tutti i trattamenti di importo superiore. Viene poi ripristinato il meccanismo della rivalutazione sull’importo complessivo del trattamento (anziché sulla singola fascia), fermo restando il principio di garanzia per il quale la perequazione di un determinato scaglione – sei in tutto quelli individuati - non può essere inferiore all’aumento massimo attribuibile alla fascia inferiore. 

Tabella 1 – Gli effetti sulle pensioni del nuovo schema di rivalutazioneTabella 1 – Gli effetti sulle pensioni del nuovo schema di rivalutazione
Fonte: elaborazioni a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Nel dettaglio, partendo appunto dal trattamento minimo, che per il 2022 è pari a 525,38 euro, le percentuali di rivalutazione saranno: del 100% per i beneficiari di prestazioni fino a 4 volte il TM, incrementato di un ulteriore punto e mezzo percentuale in più rispetto all’inflazione effettiva (nel concreto, l’8,8%); all’85% per le pensioni da 4 volte a 5 volte il TM (da 2.101 a 2.627 euro); al 53% per gli assegni da 2.627 a 3.152 euro; al 47% tra quest’ultimo importo e 4.203 euro; al 37% fino a 5.254 euro e al 32% per gli importi superiori. Per fare un esempio, un pensionato con una rendita pari tra 2.627 e 3.152 si vedrà rivalutata l’intera pensione (e non la sola quota eccedente le 5 volte il TM) del 3,869%, pari a circa 116; meno dei circa 208 che si sarebbe invece visto corrispondere con il precedente sistema. 

Attenzione! I percettori di pensioni non superiori al TM non godranno solo di rivalutazione piena (per il 2023, il 100% di 7,3%) ma anche di un’ulteriore rivalutazione straordinaria dell’1,5% che porterà l’assegno minimo a circa 573 euro mensili per tutto il 2023, tredicesima mensilità compresa. Previsto poi, per i pensionati di età non inferiore ai 75 anni, un aumento straordinario del 6,4%, finalizzato al raggiungimento della cifra teorica di 600 euro al mese. In entrambi i casi, gli aumenti – che non incideranno sulla percezione di altre prestazioni collegate al reddito – sono per il momento da ritenersi temporanei e quindi riferiti al solo anno in corso. 

 

Modalità di attribuzione dell’indicizzazione al 2023

Avendo già riconosciuto a tutti gli assegni aventi diritto il conguaglio dello 0,2%, tenuto conto del nuovo schema introdotto dalla manovra finanziaria, per evitare la formazione di indebiti pensionistici, l’INPS ha comunicato di aver in prima istanza provveduto ad aggiornare al 2023 le sole rendite non coinvolte nel nuovo meccanismo perequativo, nella sostanza cioè quelle di importo inferiore a 4 volte il TM (circa 2.101,52 volte al mese). Queste sole pensioni si vedranno quindi corrispondere l’adeguamento all’inflazione già dal cedolino di gennaio, ma con una doppia particolarità: 1) l’aumento assorbirà l’anticipo del 2% previsto dal decreto Aiuti bis; 2) la rivalutazione non tiene ancora conto dell’1,5% straordinario fissato dalla Legge di Bilancio. Il che significa ammonterà al 5,3%: valore “provvisorio” cui andrà poi aggiunto l’ulteriore punto e mezzo percentuale, attribuito sulla prima rata utile al momento dell’approvazione della norma (verosimilmente, comunque entro il primo trimestre 2023). 

Allo stesso modo, dovranno attendere oltre la pensione di gennaio tutti i trattamenti superiori alle 4 volte TM. Di conseguenza, nei primi mesi dell’anno questi pensionati avranno a che fare con una pensione leggermente inferiore rispetto al dovuto: nel giro di breve tempo, come confermato dalla circolare 135/2022, l’INPS provvederà a ricalcolare gli importi effettivamente spettanti, procedendo poi ai conguagli delle relative differenze, così come dovuti. 

 

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