Perequazione automatica, come si rivaluta la pensione (nel 2024)

Come cambia l'importo delle pensioni nel tempo e in quale modo vengono stabiliti gli adeguamenti annuali all'inflazione? Facciamo chiarezza su perequazione e indicizzazione dei trattamenti pensionistici

A differenza dei redditi da lavoro, soggetti o alla contrattazione tra le parti nel caso di  rapporto di subordinazione o alle leggi di mercato nell’eventualità di rapporto di lavoro autonomi, il reddito della pensione è stabilito in base a una precisa formula di calcolo (contributivo, misto o retributivo, a seconda del momento di ingresso nel mercato del lavoro) che, in linea teorica, lo definisce una volta per tutte. 

Come garantire ai percettori di rendita importi adeguati alle eventuali variazioni (al rialzo) di inflazione e costo della vita? Proprio allo scopo di proteggere il potere d’acquisto del trattamento pensionistico e assicurare ai pensionati un tenore di vita adeguato e costante nel tempo, è stato introdotto il meccanismo della cosiddetta “perequazione automatica”, aumento periodico dell’assegno collegato all’inflazionePiù precisamente, quindi, l’espressione “perequazione automatica” indica il meccanismo di rivalutazione dell’importo di pensioni, rendite o eventuali trattamenti assistenziali erogati dalla previdenza pubblica sulla base dei parametri di riferimento periodicamente individuati dall’Istat.


Come funziona la perequazione? 

È l’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati a stabilire il valore di riferimento per la stima dell’aumento da applicare, calcolato dapprima in forma di indice provvisorio e, a seguire, in via definitiva come indice da conguagliare a inizio anno.  Al termine di ogni anno, è dunque emanato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze un decreto che fissa “in via previsionale” la variazione percentuale che dovrà essere applicata ai trattamenti pensionistici mensili dell’anno successivo. Proprio perché provvisorio, tale valore sarà poi sostituito – al termine dell’anno stesso - da un indice di variazione definitiva, sulla base del quale sarà effettuato un conguaglio che appiani eventuali divergenze tra la stima iniziale e il valore poi effettivamente riscontrato. Il conguaglio potrà pertanto essere:

- positivo: nel caso in cui la variazione definitiva si sia rivelata superiore a quella previsionale, la differenza sarà corrisposta al percettore di rendita “in aggiunta alla pensione”; 

- negativo: se la variazione definitiva si dovesse rivelare inferiore a quella previsionale, l’importo è “sottratto alla pensione”; 

- “nullo”: nel caso in cui la variazione definitiva si riveli identica a quella previsionale, nessun conguaglio sarà applicato all’assegno pensionistico. 

Si spiega quindi facilmente l’attenzione dei media e dei pensionati per l’importo della pensione del mese di gennaio in cui convergono, normalmente e salvo eccezioni, sia l’eventuale conguaglio relativo all’anno precedente sia eventuali (se dovuti) aumenti rispetto all’indice previsionale stimato per l’anno in corso.

Attenzione! Per l’anno 2023, l’aumento di perequazione automatica – già attribuito in via provvisoria nella misura del 7,3% - è stato stabilito in via definitiva nella misura dell’8,1%: i pensionati vedranno, di conseguenza, riconosciuto un aumento dello 0,8%, cui si sommano gli arretrati relativi a tutte le precedenti mensilità 2023, a colmare la differenza tra i due indici. Non solo, l’articolo 1 del decreto-legge 18 ottobre 2023, n. 145 anticipa inoltre, per tutti i pensionati, a dicembre 2023 le tradizionali operazioni di conguaglio della rivalutazione dei trattamenti pensionistici che sarebbero dovute avvenire l'1 gennaio 2024. 

 Con apposito decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’indice provvisorio riferito al 2024 è invece stato fissato al 5,4%, salvo conguaglio da effettuarsi poi in sede di perequazione per l’anno successivo. 


Come si applicano gli indici? 

Semplificando, questo significa che le pensioni dirette e ai superstiti (indipendentemente dal fatto che siano integrate o meno al minimo) erogate dalla previdenza pubblica saranno più “generose” nel 2023: non tutte però nella stessa misura. 

Premessa fondamentale è che l’indicizzazione non si applica allo stesso modo a tutti i trattamenti pensionistici. In linea generale, si può comunque affermare che da circa 20 anni è in vigore un meccanismo che prevede lindicizzazione piena per le pensioni più basse e la rivalutazione parziale per quelle d’importo superiore. D’altro canto, occorre anche sottolineare che sulle indicizzazioni si sono susseguiti nel tempo molteplici interventi, spesso anche in contraddizione tra loro, seppur accomunati dall’intenzione di produrre eventuali risparmi di sistema. Se, dunque, in alcuni periodi le pensioni non hanno ricevuto alcuna perequazione, in altri i trattamenti pensionistici hanno subito differenti indicizzazioni che si sono tramutate nei fatti in una riduzione strutturale, e non più recuperabile, nel valore delle prestazioni. Ragioni per le quali, Suprema Corte e Cassazione si sono speso espresse negativamente su tali provvedimenti.

In particolare, volendo fare un piccolo excursus storico,  il 31 dicembre 2021 ha segnato la fine della disciplina transitoria introdotta dalla legge 147/2013, e più volte rinnovata, che ha previsto per le pensioni una rivalutazione del 100% se di importo inferiore fino a 4 volte il trattamento minimo INPS del 77% tra 4 e 5 volte il minimo, del 52% tra 5 e 6 volte il minimo, del 47% tra 6 e 8 volte il minimo, del 45% tra 8 e 9 volte il minimo e del 40% se di importo superiore a 9 volte il minimo. Con il 2022 si è invece tornati alla disciplina introdotta dalla legge 388/200, che prevede un adeguamento a misura piena, cioè al 100% dell’inflazione, per la quota di pensione fino a 4 volte il TM, al 90% per la quota compresa tra 4 e 5 volte il TM e al 75% per la quota superiore a 5 volte il minimo. Con un’ulteriore differenza rispetto al recente passato, e in particolare al triennio 2019-2021: come previsto dalla normativa di riferimento, non è cambiata solo la percentuale di variazione ma anche il meccanismo di calcolo, applicato sui diversi scaglioni del trattamento pensionistico (e non più sull’importo complessivo), nella sostanza più vantaggioso per i pensionati in termini di valore dell’assegno.


Adeguamento all'inflazione, così nel 2023 e nel 2024

Il meccanismo così descritto avrebbe dovuto originariamente restare in vigore anche per l’anno in corso. La Legge di Bilancio varata dall’esecutivo di Giorgia Meloni ha però stabilito un nuovo meccanismo di perequazione per il biennio 2023-2024: schema di rivalutazione che, in estrema sintesi, premia le pensioni al minimo, preserva la rivalutazione piena (al 100%) per gli assegni di importo fino 4 volte il TM e riduce invece progressivamente l’indicizzazione di tutti i trattamenti di importo superiore. Viene poi ripristinato il meccanismo della rivalutazione sull’importo complessivo del trattamento (anziché sulla singola fascia), fermo restando il principio di garanzia per il quale la perequazione di un determinato scaglione – sei in tutto quelli individuati - non può essere inferiore all’aumento massimo attribuibile alla fascia inferiore. Per fare un esempio, un pensionato con una rendita pari tra 2.840 e 3.407 euro si vedrà rivalutata l’intera pensione (e non la sola quota eccedente le 5 volte il TM) del 2,86%. 

Tabella 1 – Gli effetti sulle pensioni del nuovo schema di rivalutazioneTabella 1 – Gli effetti sulle pensioni del nuovo schema di rivalutazione
Fonte: elaborazioni a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Nel dettaglio, la rivalutazione è riconosciuta in misura piena (100% dell’inflazione) per le pensioni di importo fino a 4 volte il trattamento minimo INPS (567,94 euro il valore definitivo per il 2023) mentre si riduce progressivamente per gli assegni di importo superiore sulla base delle seguenti fasce:

  • 85% dell’inflazione per le pensioni di importo compreso tra 4 e 5 volte il TM;
     
  • 53% dell’inflazione per le pensioni di importo compreso tra 5 e 6 volte il TM;
     
  • 47% dell’inflazione per le pensioni di importo compreso tra 6 e 8 volte il TM;
     
  • 37% dell’inflazione per le pensioni di importo compreso tra 8 e 10 volte il TM;
  • 32% dell’inflazione per i trattamenti pensionistici oltre 10 volte il TM.

L’unica variazione al momento prevista dalla bozza della Legge di Bilancio per il 2024 è un ulteriore taglio dell’adeguamento per le pensioni di importo oltre le 10 volte il trattamento minimo, con una riduzione dal 32% al 22% dell’inflazione. 

Attenzione! In aggiunta, per gli assegni di importo pari o inferiore al trattamento mimino, la scorsa manovra finanziaria (la Legge di Bilancio per il 2023) ha previsto un incremento dell’1,5% per i pensionati di età inferiore a 75 anni e del 6,4% per gli ultra 75enni; salvo modifiche dell’ultimo minuto, per il 2024 è invece prevista, a prescindere dall’età, una rivalutazione straordinaria del 2,7% che si applicherà sul trattamento pensionistico al 31 dicembre, al netto della rivalutazione dell’1,5% o 6,4% riconosciuta quest’anno.

 

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