I rendimenti tra aspettative e incertezza: una questione di rischio... finanziario

Muoversi sui mercati significa anche essere disposti ad accettare un certo margine di incertezza, di solito tanto più elevato tanto più è alto il potenziale rendimento dei propri investimenti: cos'è e come si "misura" il rischio finanziario 

Un’altra variabile fondamentale in materia di risparmio e investimenti è senza dubbio il rischio, dove per rischio s’intende la quota di incertezza (o meglio volatilità) intrinsecamente legata a una determinata attività finanziaria.  

Più nel dettaglio, una determinata attività patrimoniale si definisce rischiosa nel caso in cui il suo andamento non possa essere, del tutto o almeno in parte, previsto con anticipo e certezza; viceversa, viene considerata a basso rischio, quando non addirittura risk free, nel caso in cui il suo andamento nel tempo risulti più facilmente prevedibile e/o sia in grado di garantire un flusso monetario certo, esponendosi in misura più contenuta all’eventualità di oscillazioni o perdite. Semplificando e di molto la questione, si potrebbe ad esempio dire che un investimento è a basso rischio quando garantisce al risparmiatore quantomeno la conservazione del proprio patrimonio iniziale; è invece ad alto rischio, quando diventa più difficile stabilire l’entità finale del patrimonio investito, che potrebbe persino (e nella peggiore delle ipotesi) subire perdite ingenti. 

 

La stretta relazione tra rischio e rendimento finanziario

Così posta la questione potrebbe sembrare banale, per non dire inutile: perché azzardare fino al punto di mettere a repentaglio la somma investita? Conviene davvero rischiare di esporsi a situazioni avverse o difficili da tollerare? La risposta parrebbe scontata, ma entra qui in gioco un altro concetto fondamentale in ambito finanziario, quello di rendimento: normalmente, rischio e rendimento (atteso) crescono infatti in maniera proporzionale! Il che implica che chi si pone come obiettivo di investimento l’accrescimento del proprio capitale di partenza deve essere disposto a correre qualche pericolo in più, attuando certo tutte le strategie utili a contenere questi rischi (ad esempio, la diversificazione degli investimenti, ma al tempo stesso diffidando dai proclami su eventuali strategie o soluzioni che consentono di “arricchirsi” in breve tempo e senza correre alcun pericolo.

Detto ancor più semplicemente, i risparmiatori/investitori impegnati in attività finanziarie lo fanno di norma perché si aspettano che queste attività producano un rendimento positivo, vale a dire un utile di segno più. Pur con la doverosa raccomandazione di porsi sempre obiettivi di rendimento realistici, il rischio si potrebbe allora definire come il “prezzo” che si è disposti a pagare pur di preservare (ad esempio dall’erosione dell’inflazione) o, ancor di più, accrescere il proprio capitale di partenza. Vien da sé che si sta parlando quindi di un’entità non solo difficilmente quantificabile (a differenza dei rendimenti), ma anche e soprattutto soggettiva: la propensione al rischio – intesa appunto come la disponibilità a sopportare il mancato raggiungimento degli obiettivi preposti o addirittura delle perdite – dipende infatti dal profilo finanziario di ciascun risparmiatore/investitore, tenuto conto della sua età, dei suoi obiettivi, delle sue disponibilità economico-finanziarie, e così via. Detto che non è possibile eliminare del tutto la componente di rischio (il cosiddetto rischio sistemico), l’obiettivo sarà quello di massimizzare il proprio profilo rischio/rendimento. 

Facciamo qualche esempio per chiarire, tornando al caso della previdenza complementare. L’adesione a una forma pensionistica complementare implica normalmente la scelta tra diversi comparti o linee di investimento: l’aderente ha cioè la possibilità di scegliere con quali modalità verranno investiti i propri contributi (ad esempio, in azioni, in obbligazioni, in un mix delle due opzioni, e così via). Pur con la premessa che la scelta non è vincolante nel tempo, questa decisione – molto personale – rappresenta un ottimo esempio di quanto sia importante valutare i rischi che si è disposti a correre, in funzione del proprio specifico profilo. Uno dei fattori determinanti è solitamente l’età. Quando si è giovani ad esempio, si può pensare di compiere qualche azzardo in più puntando anche su investimenti azionari che, a fronte di rischi maggiori, possono “promettere” in prospettiva rendimenti più elevati: sarà infatti in questo caso maggiore il tempo a disposizione per assorbire eventuali andamenti negativi dovuti ai mercati finanziari; viceversa, quando si aderisce in età più avanzata o quando comunque ci si avvicina alla pensione, può diventare in linea di massima – non esistono infatti consigli validi sempre e per tutti! – più saggio prediligere opzioni prudenti e a rischio contenuto. Anche a costo di sacrificare la prospettiva di rendimenti più sostanziosi, proprio perché minore sarebbe il tempo per minimizzare eventuali perdite. 

 

Come valutare la propria propensione al rischio? 

Anche in questo caso non esistono formule esatte, ma certamente si può fare ricorso ad alcune pratiche di buon senso. Innanzitutto, tenendo conto sia della propria situazione economica corrente sia delle proprie prospettive reddituali nel breve e nel medio termine, può rivelarsi d’aiuto quantificare la percentuale di patrimonio investito che si è disposti a perdere in un determinato lasso di tempo(che tenga ovviamente conto del proprio orizzonte temporale di investimento). Naturalmente, questo non significa che lo scenario debba poi davvero rivelarsi sfavorevole, significa piuttosto definire un “paletto” nel caso di mercati ostici. 

Fissato questo limite, occorre poi valutare con attenzione qual è il rischio dello strumento cui si è deciso di affidarsi, evitando giudizi avventati o superficiali.  Non bisogna infatti dimenticarsi che entrano qui in gioco fattori molto personali, come esperienze passate, il proprio personale livello di cultura finanziaria o, ancora e più semplicemente, il proprio carattere e la propria personale capacità di sopportare le avversità. Ecco perché, ancora di più in questa fase, potrebbe essere particolarmente utile fare ricorso al supporto di un professionista che non solo fornisca tutte le informazioni necessarie a scelte il più possibile ponderate e consapevoli, ma che eviti anche decisioni o cambi di programma dettati proprio da difficoltà emotive nel tollerare i rischi. 

Attenzione! Parlare di rischio finanziario solo in termini di propensione o valutazione è comunque riduttivo: al contrario, un altro concetto fondamentale di cui quanti desiderano investire i propri risparmi devono tenere conto è quello di gestione del rischio, da intendersi come quell’insieme di attività che si possono mettere in pratica per cercare di tenere sotto controllo eventuali fattori di incertezza, cercando di limitare eventi avversi e massimizzare quindi i rendimenti. In altre parole, i rischi finanziari non vanno solo messi in conto, ma possono anche essere gestiti (professionalmente) attraverso un’adeguata pianificazione, che dipenderà sia da valutazioni e accorgimenti riguardanti la singola strategia percorsa sia decidendo di affidarsi simultaneamente a più attività o strumenti, che funzionino come un complesso sistema di pesi e contrappesi nella rincorsa al delicato equilibrio rischio-rendimento.

 

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