Il contributo del datore di lavoro, un possibile vantaggio per i lavoratori dipendenti

Quanti aderiscono a un fondo pensione per mezzo di un accordo collettivo o di un regolamento aziendale hanno la possibilità di beneficiare di un ulteriore vantaggio, il contributo datoriale: ecco in quali casi viene effettivamente previsto e a quanto ammonta

Per alimentare la propria posizione pensionistica complementare, gli aderenti sono chiamati a versamenti periodici cui i lavoratori dipendenti possono decidere di destinare anche il proprio Trattamento di Fine Rapporto. Con alcune significative differenze che dipendono dalla forma pensionistica scelta e, in particolare, dalla decisione di aderire individualmente oppure, in via collettiva, alla soluzione prevista dal proprio regolamento aziendale o CCNL di riferimento. In quest’ultimo caso, può infatti entrare in gioco un’ulteriore forma di contribuzione, il cosiddetto contributo datoriale, così definito proprio perché corrisposto direttamente dal datore di lavoro, senza costi o oneri aggiunti per il lavoratore. 

Attenzione! Il contributo datoriale è obbligatorio solo nel caso in cui il dipendente che abbia aderito in via collettiva scelga di destinare al fondo, oltre al TFR (in tutto o in parte, secondo quanto previsto dal CCNL o dall’accordo aziendale), anche il proprio contributo nella misura prevista dai contratti di riferimento. È comunque lasciata facoltà al lavoratore di versare anche un contributo di importo superiore, così come di decidere di destinare alla previdenza complementare il solo Trattamento di Fine Rapporto. In quest’ultimo caso, tuttavia, non avrà diritto al versamento corrisposto dal datore di lavoro. Allo stesso modo, anche il lavoratore dipendente che decida di aderire autonomamente a una forma pensionistica diversa da quella prevista dagli accordi collettivi di riferimento non riceverà automaticamente il contributo del datore di lavoro, che ha comunque facoltà di accordarlo, senza però alcuna forma di obbligatorietà o legge che lo vincoli in tal senso. 

 

Versamenti individuali vs versamenti del datore di lavoro

Tutti gli iscritti a una forma pensionistica integrativa alimentano la propria posizione contributiva attraverso dei versamenti individuali, i cui tempi e importi sono liberamente scelti dall’iscritto, che può persino decidere di sospenderli senza che decada la sua iscrizione. 

Premesso che versamenti regolari nel tempo offrono comunque il vantaggio di consentire all’aderente di costruire una pensione complementare “ricca” anche a fronte di contribuzioni di importo modesto, ai lavoratori subordinati sono in verità riservate altre due potenziali modalità di contribuzione, vale a dire conferimento del TFR e versamenti aggiuntivi da parte del datore di lavoro. In particolare, i lavoratori che contribuiscono mensilmente (al di là del Trattamento di Fine Rapporto) con una somma almeno pari alla percentuale minimo dello stipendio stabilita dal CCNL o dagli accordi collettivi di riferimento per l’adesione collettiva hanno appunto diritto anche al contributo datoriale, così come disciplinato dagli accordi stessi. Se il contributo datoriale è appunto versato dal datore stesso, il contributo del dipendente è invece trattenuto direttamente in busta paga e così versato al fondo, insieme a quello della sua azienda. Come già visto, il lavoratore ha comunque la possibilità di effettuare nel corso dell’anno, o comunque con la periodicità a lui più congeniale, anche ulteriori versamenti aggiuntivi e integrativi di quelli mensili. 

Attenzione! Gli aderenti che non stanno svolgendo attività lavorativa come dipendenti o che, pur lavoratori subordinati, decidano di aderire in via individuale (ad esempio a un PIP) e senza versare neppure il TFR sono invece chiamati a provvedere personalmente ai propri versamenti. In questo caso, i contributi sono cioè direttamente corrisposti al fondo secondo le modalità previste al momento della sottoscrizione, ad esempio RID o bonifico bancario. 

 

Quanto incide il contributo datoriale sul montante cumulato del lavoratore? 

Per rispondere può essere utile un esempio, elaborato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali a partire dalle linee dei fondi pensione negoziali censiti dal Comparatore dei Fondi (con particolare riferimento a quei soli comparti attivi nel periodo esaminato – dicembre 1998/marzo 2018 – senza soluzione di continuità). 

L’ipotesi di partenza è quella di un lavoratore che, nel dicembre 1998, guadagnava 1.500 euro mensili (pari a circa 2.075 euro attualizzati in base all’inflazione Istat) e che ha poi visto crescere la propria retribuzione in linea con il tasso di inflazione. Il passo successivo è stato quello di ipotizzare il versamento mensile del TFR (pari al 6,91% della propria retribuzione) e aggiungere il contributo del datore di lavoro (ipotizzato pari all’1%). In questa situazione al 31 marzo 2018, il lavoratore avrebbe accumulato quote per un controvalore complessivo di 55.073 euro, di cui 48.583 euro derivanti dai contributi versati tramite il conferimento del proprio TFR (per un totale di 32.186 euro) e 6.490 euro imputabili ai contributi datoriali rivalutati (rispetto ai 4.300 versati dal datore di lavoro nei 20 anni).

A conti fatti, un incremento del 13,35% del montante accumulato con i propri versamenti. Se l’aliquota dei contributi datoriali fosse invece stata dell’1,5%, a fronte di 6.449 euro versati dal datore di lavoro, il lavoratore si sarebbe ritrovato 9.735 euro (cioè il 20% in più rispetto a quanto cumulato con il proprio TFR conferito nel fondo pensione). Infine, con un contributo datoriale del 2%, a fronte di versamenti del datore di lavoro per complessivi 8.599 euro, il lavoratore avrebbe potuto contare su un numero di quote per un valore di 12.980 euro (+26,7% rispetto al valore delle quote acquisite tramite conferimento del TFR).

Un esempio concreto di quanto i versamenti datoriali contribuiscano ad aumentare concretamente il valore economico della propria posizione previdenziale integrativa. 

 

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