Come funziona il contratto a tempo indeterminato

Il contratto a tempo indeterminato: cosa significa davvero lavorare senza vincoli di durata? Tutele e obblighi per datori e dipendenti (anche nel caso delle cosiddette "tutele crescenti")

Forma più comune di rapporto di lavoro subordinato, con il contratto a tempo indeterminato il dipendente si impegna a prestare la propria attività senza vincoli di durata prefissati. Generalmente redatto in forma scritta, deve contenere tutte le informazioni necessarie a disciplinare il rapporto lavorativo, quali mansione, inquadramento, data di inizio del rapporto ed eventuali indicazioni sul periodo di prova, importo della retribuzione ed elementi costitutivi, luogo e orario di lavoro, giorni di ferie e permessi, termini di preavviso in caso di recesso. Laddove alcune di queste informazioni siano omesse, il rimando è all'eventuale CCNL di riferimento.

Poiché il contratto a tempo indeterminato non ha una durata fissata a propria ma si ipotizza anzi come regolatore di un rapporto di collaborazione permanente, affinché si risolva (eccezion fatta per il caso in cui il lavoratore arrivi al termine "naturale" del suo percorso professionale e acceda alla pensione) è allo stesso modo necessario un atto di recesso in forma scritta, che prenderà forme diverse a seconda delle parti in causa:

  • dimissioni, quando la risoluzione è scelta dal lavoratore; 
     
  • licenziamento, quando la risoluzione è scelta dal datore di lavoro. 

Attenzione! Mentre il dipendente può rassegnare le proprie dimissioni senza l'obbligo di esplicitare motivazioni particolari, il datore può licenziare un lavoratore  a tempo indeterminato solo a condizione che intercorrano delle valide ragioni. In particolare, il licenziamento può essere intimato per: a) giusta causa, vale a dire per eventi gravi legati al comportamento del lavoratore tali da non consentire il proseguimento del rapporto di lavoro neppure in via provvisoria; il dipendente licenziato per giusta causa perde quindi il diritto al preavviso; b) giustificato motivo, oggettivo (derivante da motivi aziendali) o soggettivo (vale a dire legato a un'inadempienza del lavoratore). Con quest’ultimo che si differenzia dalla giusta causa perché non così grave da consentire il licenziamento senza preavviso. A ogni modo, in entrambe le situazioni, il lavoratore ha il diritto di verificare le motivazioni addotte per giustificare il licenziamento. 

Sia in caso di licenziamento sia in caso di dimissioni, chi decide di interrompere il contratto di lavoro deve tuttavia garantire un preavviso all’altro soggetto coinvolto. La durata ne è normalmente stabilita dal contratto collettivo di riferimento; in mancanza di preavviso, chi recede è tenuto al versamento di un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. L'obbligo da parte del datore di lavoro viene meno però in caso di licenziamento per giusta causa; allo stesso modo, anche il lavoratore ha in realtà diritto a non concedere preavviso in caso di gravi inadempimenti da parte del datore di lavoro, ad esempio in caso di mancata corrispondenza della retribuzione.

Attenzione! A proposito di licenziamento, doveroso però ricordare le novità normative legate al Jobs Act e al Decreto Legislativo 4 marzo 2015 n.23: riforma del mercato del lavoro che ha portato alla definizione di contratto (a tempo indeterminato) a tutele crescenti. A dispetto del nome, però, il contratto a tutele crescenti non rappresenta una forma ex novo di lavoro subordinato, ma introduce piuttosto una nuova disciplina normativa in riferimento alle tutele legate ai licenziamenti illegittimi. Disciplina che oltretutto non ha validità universale ma interessa esclusivamente i neoassunti a tempo indeterminato (ad esclusione dei dirigenti) a partire dal giorno 7 marzo 2015, applicandosi inoltre alle trasformazioni da apprendistato o tempo determinato a contratti a tempo indeterminato, nonché ai rapporti già in essere nel caso nel caso di aziende che, a seguito di nuove assunzioni, abbiano superato il limite dei 15 dipendenti. Per tutti gli altri lavoratori, dunque, ha continuato e continua ad applicarsi quanto previsto dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e dalla Legge n.604/1966, ossia le tutele di tipo reale od obbligatorio, così come riformate dalla legge 92/2012.

 


Cosa sono e come funzionano le “tutele crescenti”

Tra le principali novità conseguenti al Jobs Act va indubbiamente segnalata l'introduzione del cosiddetto “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti”, contratto a tempo indeterminato a tutti gli effetti, caratterizzato tuttavia da una nuova disciplina legislativa in merito ai licenziamenti. 

Obiettivo delle nuove norme è la semplificazione in caso di recesso. Più precisamente, il lavoratore così assunto continuerà a beneficiare delle previsioni dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori solo per "i licenziamenti discriminatori", vale a dire avvenuti per motivi di razza, sesso, attitudini sessuali, religiosi, politici e sindacali. Per i cosiddetti licenziamenti economici o disciplinari (per questi ultimi, salvo casi particolari), non è invece più previsto il reintegro in azienda, ma solo un risarcimento economico, che aumenta nel tempo quanto a numero di mensilità corrisposte al lavoratore licenziato, da cui la denominazione di "tutele crescenti". 

L’entra in vigore di questa nuova disciplina fa riferimento alla pubblicazione del Decreto Legislativo 23/2015 sulla Gazzetta Ufficiale: le “tutele crescenti” si applicano pertanto a partire dal 7 marzo 2015. Come già visto, le tutele crescenti interessano dunque solo i lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto; per i lavoratori assunti prima della data indicata resta invece valida la normativa precedente, con delle eccezioni. Ecco alcune precisazioni a proposito di casi peculiari:

a) le tutele crescenti si applicano esclusivamente ai lavoratori assunti con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri. Sono esclusi i dirigenti; 

b) la nuova disciplina riguarda anche le trasformazioni di contratti a tempo determinato (o apprendistato) in contratti a tempo indeterminato avvenute dopo il 7 marzo 2015. Non trova invece mai applicazione nei casi di assunzioni a tempo determinato o per altre forme di lavoro subordinato;

c) le tutele crescenti si applicano infine anche ai lavoratori a tempo indeterminato assunti prima dell’entrata in vigore del decreto nel caso di aziende che, a seguito delle nuove assunzioni, abbiano superato i 15 dipendenti dopo il 7 marzo 2015. La nuova normativa vale in ogni caso per i neo-assunti, a prescindere dalle dimensioni dell’azienda 


Licenziamento discriminatorio, nullo o orale (art.2 del Decreto legislativo 23/2015)

Il licenziamento discriminatorio è sempre illegittimo. In questi casi, il dipendente ha quindi diritto alla tutela reintegratoria piena, vale a dire sia al reintegro sia al risarcimento del danno, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per tutto il periodo intercorso tra licenziamento e reintegrazione. La legge riconosce inoltre al lavoratore il diritto di opzione, ossia la possibilità di scegliere, al posto del reintegro, il pagamento di un’indennità pari a quindici mensilità.

Questa disciplina si applica, oltre che ai licenziamenti discriminatori, anche ai casi di nullità del licenziamento previsti per legge e nei casi in cui il licenziamento sia stato intimato verbalmente e non in forma scritta.


Licenziamento per giustificato motivo oggettivo/soggettivo e giusta causa (art.3 comma 1 del Decreto legislativo 23/2015)

Sia in relazione ai licenziamenti per giustificato motivo che a quelli per giusta causa, la nuova normativa prevede, in caso di illegittimità accertata, un indennizzo economico legato all’anzianità di servizio e non soggetto a contribuzione previdenziale. L'espressione "tutele crescenti" si deve proprio alla correlazione tra la permanenza in azienda e la misura dell'indennità.

In altre parole, il rapporto di lavoro si considera estinto: il datore di lavoro non è obbligato al reintegro, ma deve corrispondere all’(ex) dipendente un risarcimento il cui importo sarà proporzionale all’anzianità di servizio. L’indennità, che non può essere in ogni caso mai inferiore alle 4 e mai superiore alle 24 mensilità, sarà calcolata nella misura di due mensilità per ogni anno di servizio. Il riferimento è all'ultima retribuzione utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Ulteriori eccezioni a questo tipo di tutela sono comunque disposte per legge (art.3, comma 2 e art.4).

Per quel che riguarda invece i licenziamenti collettivi, vale sempre il criterio dei licenziamenti illegittimi per giustificato motivo oggettivo (l’indennizzo dalle 4 alle 24 mensilità), con l’eccezione del licenziamento collettivo intimato senza forma scritta. In questo caso, esattamente come per i licenziamenti individuali, viene conservata la possibilità di reintegro. 

Attenzione! La sentenza 194/2018 della Corte Costituzionale ha in realtà dichiarato illegittimo l'articolo 3, comma 1, del Decreto legislativo n. 23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti (Jobs Act), nella parte che determina in modo rigido l'indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato: secondo la Consulta, infatti, «la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore» sarebbe «contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione». Nel 2020 la sentenza 15/2020, ripresa poi anche dalla pronuncia 93/2021, ha quindi affermato un principio identico anche per i licenziamenti caratterizzativi da vizi formali e/o procedurali. 

Non si tratta però che dell’inizio di una lunga serie di interventi sulla materia, interventi che hanno raggiunto il proprio apice proprio in questo 2024: 

- con la  pronuncia 254/2020 è stata dichiarata inammissibile la sollevata questione di legittimità costituzionale della previsione di un regime sanzionatorio diverso tra assunti prima e dopo il marzo 2015, in caso di violazione dei criteri di scelta nell’ambito di un medesimo licenziamento collettivo. Principio poi ulteriormente rafforzato dalla sentenza 7/2024 che ha stabilito come non fondate le questioni inerenti alla disciplina dei licenziamenti collettivi prevista dal Jobs Act. Semplificando, dunque, la Corte ha ritenuto costituzionale il diverso regime di tutela cui sono sottoposti, nell’eventualità di licenziamenti collettivi illegittimi per riduzione di personale, i lavoratori assunti prima e dopo il 7 marzo 2015; 

- pur giudicando inammissibili le censure avanzate sull’indennità prevista per i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese,  con la sentenza 183/2022 la Corte ha sottolineato come la relativa norma inserita nel Jobs Act non rappresenta un rimedio congruo e coerente con i requisiti di adeguatezza e dissuasività;

- la pronuncia 22/2024 ha sancito l’illegittimità costituzionale del decreto legislativo 23/2015 nella parte in cui limita la reintegra solo ai casi di nullità «espressamente» previsti dalla legge. Secondo la decisione della Consulta, che ha effetto abrogativo immediato, il regime applicabile deve essere lo stesso sia laddove ricorrano ipotesi di nullità previste dalla legge sia laddove tale nullità non sia espressamente prevista; 

- con la sentenza 44/2024 la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 3 del Jobs Act, il quale stabiliva che ai dipendenti di una piccola impresa, già in forza prima dell'entrata in vigore del provvidemento, dovessero essere comunque applicate le "tutele crescenti" in caso di superamento della soglia dei 15 dipendenti successivo al 7 marzo 2015. 

Attenzione! Tra il mese di aprile e l’inizio di maggio 2024, sono state raccolte le firme necessarie e quindi depositati presso la Suprema Corte di Cassazione 4 quesiti referendari, in parte impropriamente definiti da stampa e politica stessa come “referendum abrogativi del Jobs Act”. Tra i quesiti spicca tuttavia proprio l’abrogazione del cosiddetto sistema delle tutele crescenti. 

 

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