Lavorare dopo la pensione: il cumulo con i redditi da lavoro tra vincoli e divieti

Si può riprendere l'attività professionale dopo aver raggiunto la pensione? La risposta è sì, ma con limitazioni ed eccezioni in funzione sia del tipo di prestazione sia del reddito maturato: un po' di chiarezza sul cumulo della pensione con i redditi da lavoro

Se è vero che chi raggiunge i requisiti per il pensionamento non è obbligato ad andare in pensione, lo è altrettanto che un pensionato non deve necessariamente rinunciare alla possibilità di svolgere un’attività lavorativa. Una casistica rigidamente disciplinata dalla normativa in materia che, con il decreto legge 112/2008, ha in linea di massima sancito la totale cumulabilità con i redditi da lavoro di tutte le pensioni di anzianità, di vecchiaia o anticipate. Semplificando cioè, a differenza di quanto non accadesse in passato, è oggi possibile cumulare la pensione con eventuali redditi da lavoro, senza che l’assegno subisca penalizzazioni o incorrere in sanzioni. 

Fatta questa premessa si rendono tuttavia necessarie alcune importanti precisazioni a maggior ragione considerato il fatto che, per alcune prestazioni (ad esempio, pensioni e assegni di invalidità o i più recenti pensionamenti anticipati ottenuti mediante Quota 100/Quota 102/Quota 103 e, dal 2024, anche tramite APE sociale), persistono in realtà dei vincoli non trascurabili. 

 

Cumulo dei redditi da lavoro con la pensione di vecchiaia o anticipata

A decorrere dal gennaio 2009, i redditi da lavoro sono interamente cumulabili con le pensioni di vecchiaia, di anzianità e anticipate. Eventualità valida in senso assoluto per tutte le prestazioni erogate con il sistema misto o interamente retributivo, percepite cioè da quanti già in possesso di contribuzione al 31 dicembre 1995, e valida invece con ulteriori vincoli nel caso dei cosiddetti “contributivi puri”. Queste, in particolare, le condizioni (tra loro alternative) richieste ai fini della cumulabilità:

  • almeno 60 anni di età anagrafica per le donne e 65 per gli uomini; 
     
  • almeno 40 anni di contribuzione; 
     
  • almeno 35 anni di contribuzione e 61 anni di età anagrafica. 

Venendo al concreto, e tenendo quindi conto degli effettivi requisiti anagrafici e contributivi per l’accesso alla pensione richiesti agli assicurati che hanno maturato i propri contributi a partire dall’1 gennaio 1996, si può dunque ragionevolmente affermare che pensioni di vecchiaia e anticipate sono totalmente cumulabili con i redditi da lavoro anche all’interno del sistema contributivo.

 

Cumulo dei redditi da lavoro con l’assegno ordinario di invalidità

Anche in questo caso persiste la cumulabilità, che è tuttavia soggetta a delle limitazioni di tipo reddituale. I titolari dell’assegno ordinario di invalidità subiscono cioè delle decurtazioni nel suo importo laddove il reddito complessivo superi alcune soglie:

  • in misura pari al 25% se il reddito conseguito supera di 4 volte il trattamento minimo INPS vigente;
     
  • in misura pari al 50% se il reddito conseguito supera di 5 volte il trattamento minimo INPS vigente.

Nel caso in cui l’importo dell’assegno ordinario di invalidità sia comunque superiore al trattamento minimo INPS (pari nel 2024 a poco più di 598 euro al mese per 13 mensilità), il rateo – vale a dire la “porzione” – di assegno eccedente il trattamento minimo può subire un’ulteriore decurtazione laddove l’anzianità contributiva sulla base della quale è calcolato sia inferiore ai 40 anni. In particolare, la trattenuta:

a) è pari al 50% della quota eccedente il trattamento minimo nel caso di reddito da lavoro subordinato ed è effettuata direttamente sulla retribuzione a cura del datore (che provvederà poi al versamento all’ente previdenziale) o, in alternativa, sugli arretrati di pensione in caso di liquidazione tardiva;

b) è pari al 30% della quota eccedente il trattamento minimo nel caso di redditi provenienti da lavoro autonomo ed è effettuata direttamente dall’ente previdenziale previa comunicazione dei redditi annui percepiti.

Attenzione! Questa seconda riduzione non può comunque superare l’entità del reddito da lavoro dipendente né essere superiore al 30% del reddito prodotto per il lavoro autonomo. In ogni caso, poi, il taglio non scatta se il reddito conseguito è inferiore al trattamento minimo INPS, se il lavoratore è impiegato con contratti a termine di durata non superiore ai 50 giorni nell’arco dell’anno solare o nel caso in cui il reddito derivi da attività socialmente utili svolte dagli anziani nell’ambito di appositi progetti di reinserimento.

 

Cumulo dei redditi da lavoro con la pensione di inabilità  

Nel caso di pensione di inabilità (prestazione previdenziale riconosciuta solo qualora venga accerta l’impossibilità a svolgere attività lavorativa), il problema del cumulo non può invece porsi a norma di legge: lo svolgimento di lavoro sia autonomo sia dipendente è infatti incompatibile con la percezione della prestazione, tanto che implica non solo la cessazione di ogni rapporto di subordinazione ma anche la cancellazione da elenchi, albi o ordini relativi a particolari mestieri e professioni che richiedano l’iscrizione ai fini dell’esercizio della professione.

 

Cumulo dei redditi da lavoro con la pensione di reversibilità

Anche per la pensione di reversibilità la cumulabilità tra l’assegno pensionistico ed eventuali redditi da lavoro è possibile, ma solo parzialmente. Così come per l’assegno ordinario di invalidità, sono infatti previsti dei vincoli reddituali, che prevedono decurtazioni nel caso in cui il reddito del lavoro del superstite [TM=Trattamento Minimo INPS]:

  • sia compreso tra 3 e 4 volte l’importo del TM; in questo caso, l’importo della pensione spettante si riduce del 25%;
     
  • superi 4 volte il TM; in questo caso, l’importo dell’assegno pensionistico si riduce del 40%;
     
  • superi 5 volte il TM; in questo caso, l’importo dell’assegno pensionistico si riduce del 50%.

Attenzione! La riduzione non si applica nel caso in cui più persone siano contitolari della pensione di reversibilità all’interno dello stesso nucleo familiare e, tra loro, risultino anche minori, studenti entro i limiti di età previsti dalle legge  o inabili anche se maggiorenni. Semplificando con un paio di esempi: mentre a una vedova lavoratrice con figli minorenni la decurtazione non verrà applicata, a una vedova lavoratrice senza persone a carico l’importo della pensione di reversibilità sarà decurtato proporzionalmente al reddito da lavoro prodotto. 

 

Cumulo dei redditi da lavoro con Opzione Donna

Dal momento che Opzione Donna prevede l’intero ricalcolo dell’assegno pensionistico con  il metodo contributivo, si creano spesso difficoltà interpretative a proposito della disciplina da applicare per il cumulo.  

Va però precisato che la particolarità riguarda appunto il solito metodo di calcolo, senza implicare che la prestazione vada a tutti gli effetti trattata come una pensione conseguita all’interno del regime contributivo puro, tanto che – per fare un altro esempio – non le si applicano neppure le disposizioni riguardanti l’entità dell’importo rispetto al trattamento minimo che trovano invece piena applicazione per i cosiddetti contributivi puri. Ecco perché, nonostante la normativa non si esprima direttamente a riguardo, la pensione maturata con opzione donna può essere considerata pienamente cumulabile con altri redditi da lavoro al  pari di qualsiasi altra pensione di vecchiaia o anticipata maturata con il sistema misto o interamente retributivo.

 

Cumulo dei redditi da lavoro con Quota 100, Quota 102 e Quota 103

Una grande eccezione a quanto visto finora in materia di cumulo tra pensione e reddito da lavoro è offerto dal pensionamento anticipato con Quota 100 (62 anni di età + 38 anni di contributi), Quota 102 (64 anni di età e 38 di contributi) e Quota 103 (62 anni di età e 41 di contributi), per il quale viene infatti reintrodotto per legge il divieto di cumulo nel periodo che intercorre tra la decorrenza della pensione e il raggiungimento del requisito anagrafico richiesto per la pensione di vecchiaia, vale a dire -  al momento -  67 anni. La percezione di eventuali redditi da lavoro comporta dunque la sospensione del trattamento pensionistico in tutte le circostanze, tranne una: la cumulabilità è infatti ammessa per redditi da lavoro occasionale che non superino complessivamente i 5.000 euro lordi l’anno. 

Attenzione! Alla maturazione dell’età anagrafica richiesta per l’accesso alla pensione di vecchiaia, il divieto decade e subentrano le regole normalmente previste a favore della totale cumulabilità dei redditi da lavoro con la pensione.

 

Cumulo dei redditi da lavoro con APE sociale 

A lungo assente nella disciplina di questo meccanismo di pensionamento anticipato, con la proroga di APE sociale per il 2024 viene introdotto dalla legge 213/2023 viene introdotto il divieto di cumulo – sul modello Quota 100 – anche per questo peculiare meccanismo di pensionamento anticipato. Unica eccezione è anche in questo caso prevista per il lavoro occasionale, entro il limite massimo dei 5mila euro annui. 

Attenzione! Fino al 31 dicembre 2023 APE è risultata compatibile con lo svolgimento di attività lavorativa dipendente o parasubordinata soltanto nel caso in cui i relativi redditi non superino gli 8.000 euro lordi annui e con lo svolgimento di attività di lavoro autonomo nel limite di reddito di 4.800 euro lordi annui. 

 

Un’ultima precisazione: la cessazione dell’attività lavorativa e il supplemento di pensione

Molto spesso l’obbligo di cessazione dell’attività di lavorativa  e la possibilità di cumulare invece la pensione con redditi di lavoro generano confusione nei pensionati o aspiranti tali. I due concetti non sono però antitetici come potrebbe sembrare all’apparenza.

La possibilità di accesso alla gran parte delle prestazioni previdenziali implica infatti la cessazione del rapporto di lavoro subordinato e, in alcuni casi, anche l’interruzione dell’attività autonoma o libero-professionale (con annessa cancellazione da elenchi, albi, ordini, etc quando e dove espressamente richiesto). E, alla luce di questa richiesta, il tema del cumulo dei redditi sembrerebbe perfino non sussistere: in realtà, salvo casi specifici (come, ad esempio, quello della pensione di inabilità), l’interruzione non deve intendersi come permanente, ma si estende semmai fino alla decorrenza del trattamento previdenziale. A quel punto, nulla vieta al pensionato di riprendere un’attività lavorativa dipendente da terzi o autonoma, purché all’interno dei limiti previsti dalla legge sul cumulo.

Attenzione! Naturalmente, la ripresa dell’attività professionale comporta anche per il pensionato lavoratore il versamento dei relativi contributi alla gestione previdenziale di riferimento. Contributi che non vanno “persi” ma possono al contrario tradursi in un “supplemento di pensione”, vale a dire in un incremento della pensione liquidato solo su domanda diretta dell’interessato

Quando previsto, il supplemento può essere richiesto solo trascorsi 5 anni dalla decorrenza della pensione (o da un precedente supplemento) o, in alternativa solo per coloro che abbiano già compiuto l’età anagrafica utile alla pensione di vecchiaia, trascorsi 2 anni dalla decorrenza della pensione o di un precedente supplemento. Possibilità, quest’ultima, ammessa in un’unica occasione: un eventuale supplemento successivo potrà cioè essere richiesto solo a distanza di 5 anni dal precedente.